Ho conosciuto un "paradiso difficile". E lo frequento. Può esistere un "paradiso doloroso"? Forse no. Ma è possibile e reale questo luogo di concentrazione del dolore tutto illuminato da una costante, dolce liturgia della bontà e della bellezza. E’ in mezzo a quel grande dolore che m’incontro con la luce del paradiso. I piani alti del grande ospedale per i bambini. La domanda difficile: "perchè loro?".

Ma il mistero dell’Innocente, il mistero del Figlio senza colpa e del suo patire fino in fondo, non si può dire. Si può piangere. Si deve tacere. Non c’è libero accesso a quel luogo. Se vi sei ammesso, entri anche tu, incerto e balbettante, nella grande liturgia dell’amore. Lì tutto mi sembra semplicemente perfetto. L’assoluta competenza dei terapeuti e dei loro aiutanti, è immersa e adornata da una indescrivibile gentilezza dell’affetto. Il sorriso c’è, ma non è mai risata. La diagnosi e il percorso da affrontare sono quasi sempre difficili, ma non si presentano mai privi di tenerezza, di attenzione, di composta speranza.

Anche il luogo è bello. Una clinica è una clinica. Ma qui tutto è perfetto: anche gli arredi e gli oggetti sembrano volersi piegare su questi "più piccoli" tra i fratelli di Gesù. Un’associazione di genitori che hanno attraversato lo stesso deserto, e vogliono sostenere la fatica di chi ora lo sta percorrendo, opera in perfetta armonia e in viva collaborazione con tutti gli operatori. Passare per l’uffcio dell’associazione è già incontrarsi con una competenza che strappa dalla desolazione della solitudine chi si vede precipitato in un mai pensato dramma. E questi sono le mamme e i papà dei bambini. La malattia dei piccoli è la loro malattia. Ogni esito, ogni regresso, ogni speranza, sono dei loro figli non più che di loro.

E’ anche, bisogna dirlo, una sconvolgente scoperta: quello che vivevi nella semplice e quotidiana dedizione per tua figlia o tuo figlio, ora ti è davanti come una misura immensa d’amore che così intrecciata al dolore ti sembra importabile. Qualche volta mi è sembrato di ascoltare come un urlo silenzioso e angosciato. Accanto ai piccoli ospiti ci sono altre presenze di grande rilievo, presenze assenti, ma presenze: i loro fratelli e le loro sorelle; più piccoli, più grandi, inevitabilmente coinvolti e travolti da questa necessaria concentrazione dell’affetto materno e paterno per l’assente diventato anche troppo importante. E’ una delle grandi preoccupazioni dei genitori quella di rimarginare continuamente la ferita provocata dallo squlibrio che i segni quotidiani dell’affetto devono subire.

Ma al centro di tutto, protagonisti straordinari, ci sono loro, i piccoli malati. Loro, oggetto di tutte le cure e di tutte le straordinarie attenzioni dei grandi, loro sono in realtà i grandi operatori di quel miracolo. Sia perchè troppo piccoli per comprendere tutto, sia, mi sembra, per un miracolo di sapienza infantile, in loro la resistenza al male, la parola della speranza, la capacità di giocare, talvolta anche l’impegno di una scuola interna guidata da grande esperienza, tutto questo e molto altro fa di loro le vere fonti di tutto il bene che in quel posto viene cercato e fatto. Tutto è fatto per loro.

Ma sono loro a promuovere ogni cosa verso quel porto di salvezza cui tutti cercano di guardare. Perchè, grazie al Signore, questo porto c’è! Il progresso scientifico e tutto quello che a livelli altissimi di competenza, di studio e di audacia, viene fatto per i piccoli, tutto aiuta a sostenere la fatica del cammino con la prospettiva di un esito di guarigione e di gioia. Giovanni