[27] Se chi ha peccato è stato qualcuno del popolo, violando per inavvertenza un divieto del Signore, e così si è reso colpevole, [28] quando conosca il peccato commesso, porti come offerta una capra femmina, senza difetto, in espiazione del suo peccato. [29] Poserà la mano sulla testa della vittima di espiazione e la immolerà nel luogo dove si immolano gli olocausti. [30] Il sacerdote prenderà con il dito un pò di sangue di essa e bagnerà i corni dell’altare degli olocausti; poi verserà il resto del sangue alla base dell’altare. [31] Preleverà tutte le parti grasse, come si preleva il grasso del sacrificio di comunione, e il sacerdote le brucerà sull’altare, profumo soave in onore del Signore. Il sacerdote farà per lui il rito espiatorio e gli sarà perdonato. [32] Se porta una pecora come offerta per il peccato, porterà una femmina senza difetto. [33] Poserà la mano sulla testa della vittima espiatoria e la immolerà in espiazione nel luogo dove si immolano gli olocausti. [34] Il sacerdote prenderà con il dito un pò di sangue della vittima espiatoria e bagnerà i corni dell’altare degli olocausti; poi verserà il resto del sangue alla base dell’altare. [35] Preleverà tutte le parti grasse, come si preleva il grasso della pecora del sacrificio di comunione e il sacerdote le brucerà sull’altare sopra le vittime consumate dal fuoco in onore del Signore. Il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il peccato commesso e gli sarà perdonato. [1] Se una persona pecca perché nulla dichiara, benché abbia udito la formula di scongiuro e sia essa stessa testimone o abbia visto o sappia, sconterà la sua iniquità. [2] Oppure quando qualcuno, senza avvedersene, tocca una cosa immonda, come il cadavere d’una bestia o il cadavere d’un animale domestico o quello d’un rettile, rimarrà egli stesso immondo e colpevole. [3] Oppure quando, senza avvedersene, tocca una immondezza umana – una qualunque delle cose per le quali l’uomo diviene immondo – quando verrà a saperlo, sarà colpevole. [4] Oppure quando uno, senza badarvi, parlando con leggerezza, avrà giurato, con uno di quei giuramenti che gli uomini proferiscono alla leggera, di fare qualche cosa di male o di bene, se lo saprà, ne sarà colpevole. [5] Quando uno dunque si sarà reso colpevole d’una di queste cose, confesserà il peccato commesso; [6] porterà al Signore, come riparazione della sua colpa per il peccato commesso, una femmina del bestiame minuto, pecora o capra, come sacrificio espiatorio; il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il suo peccato. [7] Se non ha mezzi per procurarsi una pecora o una capra, porterà al Signore, come riparazione della sua colpa per il suo peccato, due tortore o due colombi: uno come sacrificio espiatorio, l’altro come olocausto. [8] Li porterà al sacerdote, il quale offrirà prima quello per l’espiazione: gli spaccherà la testa vicino alla nuca, ma senza staccarla; [9] poi spargerà il sangue del sacrificio per il peccato sopra la parete dell’altare e ne spremerà il resto alla base dell’altare. Questo è un sacrificio espiatorio. [10] Dell’altro uccello offrirà un olocausto, secondo le norme stabilite. Così il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il peccato che ha commesso e gli sarà perdonato. [11] Ma se non ha mezzi per procurarsi due tortore o due colombi, porterà, come offerta per il peccato commesso, un decimo di efa di fior di farina, come sacrificio espiatorio; non vi metterà né olio né incenso, perché è un sacrificio per il peccato. [12] Porterà la farina al sacerdote, che ne prenderà una manciata come memoriale, facendola bruciare sull’altare sopra le vittime consumate dal fuoco in onore del Signore. È un sacrificio espiatorio. [13] Così il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il peccato commesso in uno dei casi suddetti e gli sarà perdonato. Il resto sarà per il sacerdote, come nell’oblazione”.
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Anche se questi testi possono sembrare piuttosto ripetitivi, consentono di raccogliere sempre ulteriori luci sul vasto orizzonte sacrificale che, non dimentichiamolo, esprime con grande sovrabbondanza, l’intenzione profonda di Dio nei confronti del suo popolo, e cioè quella di tracciare una via di riparazione e di riconciliazione per ogni vicenda che abbia allontanato da Lui qualcuno dei suoi figli.
Per quanto riguarda la prima parte del nostro testo, i vers.27-35 del cap.4, possiamo notare che il sacrificio per il peccato viene collegato con altri due sacrifici, l’olocausto e il sacrificio di comunione. Questo particolare mi sembra molto importante, e per due motivi. Il primo è quello di evitare il grave rischio di pensare che la riparazione del male sia semplicemente un aggiustamento della situazione personale di ogni individuo. Il secondo è quello di sottolineare che quello che a Dio interessa di più è la comunione tra Lui e i suoi figli. Quindi, il grande obiettivo del sacrificio per il peccato è quello di ristabilire una comunione che, magari, come qui, senza consapevolezza da parte dell’uomo, si è generata e deve essere tolta. Il riferimento all’olocausto – ai versetti 29 e 33 – ricorda che il sacrificio esprime il desiderio e la possibilità dell’uomo di fare un dono a Dio, significato dalla consumazione totale della vittima, senza che nulla sia trattenuto nè per i sacerdoti nè per l’offerente. Il riferimento al sacrificio di comunione – ai versetti 31 e 35 – dice che il sacrificio vuole celebrare e rafforzare il vincolo di comunione che unisce a Dio il suo popolo, e per questo una parte è consumata per Dio e un’altra è trattenuta perchè ne mangino i sacerdoti e l’offerente. Dunque, il rito espiatorio deve in sè contenere queste fondamentali tensioni del rapporto tra l’uomo e il suo Signore.
La seconda parte del brano, Lev.5,1-13, ai vers.1-4 cita alcuni casi di trasgressioni commesse o inconsapevolmente o per superficialità, e conferma che il peccato non è legato alla consapevolezza di chi l’ha commesso; in ogni modo, è un male. E quando chi l’ha commesso ne diventa consapevole, è necessario porvi rimedio. Anche qui mi permetto di sottolineare che i casi citati mostrano che il problema, prima di essere “morale” è “teologico”, cioè evidenzia una situazione non adeguata alla realtà divina e al contatto che con questa viene concesso all’uomo.
Lev.5,5-13 richiama la nostra attenzione sulle vittime sacrificali, che vanno dal bestiame minuto sino al “decimo di efa di fior di farina”(ver.11). E’ di grande interesse che la “diminuzione” della qualità della vittima non dipenda da un’eventuale minore gravità della trasgressione commessa, ma dalla concreta possibilità dell’offerente di procurarsi la vittima da offrire. Se un poveraccio non ha che un po’ di farina, la sua offerta vale come se offrisse una pecora. E questo a conferma che la vittima è sempre espressione della condizione e dell’intenzione del cuore. L’importante è che ogni persona possa ristabilire la sua relazione con il Signore. In questo orizzonte, mi piace citare la spiegazione che il commento ebraico propone a proposito dei vers.7-10 dove la vittima è una coppia di uccelli, due tortore o due colombi. Possiamo di passaggio ricordare che secondo Luca 2,22-24 tale è stata l’offerta da poveretti che Maria e Giuseppe hanno portato per la presentazione di Gesù al Tempio. Il nostro testo dice che il primo animale viene offerto come sacrificio espiatorio e il secondo come olocausto. E il commento ebraico dice che il primo sacrificio è come quando un avvocato entra nella sala del re per difendere un suo cliente: e questo è il rito espiatorio; poi, ottenuto il perdono, si fa seguire un regalino personale per il re, e questo è l’olocausto.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Poveri animali! Vengono addossati a loro gli errori degli uomini… Gli animali e il loro sangue prendono il posto di chi ha sbagliato e del suo sangue. Questo significa quella mano imposta dall’offerente sul capo della vittima (gesto che, nel capitolo iniziale, sembrava indicare più semplicemente la proprietà, l’appartenenza della vittima all’offerente). Gli animali offerti devono essere “perfetti” (le traduzioni dicono “senza difetto”) e devono essere uccisi secondo un rituale che valorizza al massimo il loro ruolo sacrificale; ma – come ricorda anche G.P.Tasini – gli animali non erano stati creati per essere uccisi… Sappiamo, però, che un giorno il lupo pascolerà con l’agnello e tutta la creazione sarà rinnovata nella pace. – Nel cap. 5, due versetti ci possono coinvolgere di più: il primo, con la condanna della mancata testimonianza e il quarto, con il cattivo uso del giuramento. C’è un elemento – mi pare – nuovo: chi ha sbagliato deve “confessare” l’errore compiuto; il riconoscimento dell’errore, ammettere che abbiamo sbagliato o che abbiamo torto… non è facile neanche per noi.
Ho avuto l’impressione, oggi, che il Signore sia interessato e desideri spiegarci che siamo peccatori e che tutto però può esserci perdonato. ‘qualunque sia la mancanza di cui si è reso colpevole.’ Alla fine del cap.5.
I diversi casi del capitolo 4 e 5 mi sembra regalino la tranquillità di esserci comunque ‘dentro’ al meccanismo del peccato-sacrificio-salvezza. Ogni mancanza che possiamo commettere verso il Signore viene, senza dubbio, raccolta nel suo desiderio di perdonarci e di salvarci.
Non c’è niente del peccato dell’uomo, delle nostre vite, che non è compreso nel piano di salvezza del Signore.
v.7 “Se non ha mezzi per procurarsi una pecora o una capra, porterà al Signore, come riparazione della sua colpa per il suo peccato, due tortore o due colombi: uno come sacrificio espiatorio, l’altro come olocausto.”
v.11 “Ma se non ha mezzi per procurarsi due tortore o due colombi, porterà, come offerta per il peccato commesso, un decimo di efa di fior di farina, come sacrificio espiatorio”
L’entità del sacrificio non è uguale per tutti, e non dipende dalla colpa commessa. Dipende dalle possibilità dell’offerente. Non è importante quanto e cosa si offre, ma come si offre. Offrire se stessi, il proprio pentimento, che nasce dalla consapevolezza di avere peccato.Ognuno come è capace.
Sono stata presa, questa mattina, dalla vicenda di quella testimonianza omessa… il pensiero è scappato al Giudizio di Dio sulla mia vita.
Mi pare che il nostro Signore, che certamente conosce fatti e peccati della mia vita, continuamente ometta il “vero” e copra con la sua misericordia, inebriandole del suo profumo, le vicende che mi riguardano.
Così in un certo senso si carica, mi pare, del mio peccato… Il testo non si preoccupa di raccomandare al Testimone di ristabilire il vero, di tornare e ritrattare la sua testimonianza. Dà per conclusa la questione per la quale la testimonianza era necessaria. Ora rimane da scontare l’omessa testimonianza, rimane necessaria la Vittima innocente, mentre la vicenda del Giudizio non c’è più… Ringraziamo il Signore per la sua misericordia, per i suoi prodigi a favore degli uomini: “Egli ha fatto esser peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato; acciocché noi fossimo fatti giustizia di Dio in lui” (2 Cor.5,21 – traduzione Diodati)