9 Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14 Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
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La divaricazione tra la vera preghiera e il cammino della propria “autoesaltazione” è assoluta nella parabola che oggi Gesù ci regala e che solo Luca tra gli Evangelisti ricorda.
L’espressione del ver.9 “avevano l’intima presunzione”, nel testo originale dice “confidavano in se stessi”, che mi sembra più forte e più capace di mettere in contrasto la fiducia in se stessi con la fiducia nel Signore.
Addirittura, la “preghiera” del fariseo è un’autoesaltazione, dove anche l’espressione che la apre – “O Dio, ti ringrazio …” – sembra retorica e insincera, in quanto la preghiera è per lui una manifestazione e un’affermazione non dell’opera di Dio, ma della sua “giustizia”!
Tale presunzione arriva fino al confronto con il pubblicano e con la sua condizione di peccatore!
La “preghiera” sembra diventare anch’essa l’ennesima impresa e l’ulteriore motivo di vanto nel confronto con tutti gli altri!
La vera preghiera è invece quella del pubblicano e per questo addirittura si propone come l’unica vera e potente preghiera!
“Potente”, perché a partire dalla confessione della propria situazione di peccato, invoca e si affida alla misericordia divina!
L’ ”autoesaltazione” del fariseo non è preghiera ma autocompiacimento e presunta “giustizia”, e quel “Dio, ti ringrazio” si rivela come del tutto inautentico e retorico: ti ringrazio perché sono bravo e faccio bene…!
Non è dunque preghiera, perché non è consapevolezza e confessione del proprio bisogno di essere salvato: di Dio, il fariseo non ha bisogno, se non come colui che non potrà che condannare il pubblicano esaltando il fariseo!
Al contrario, l’annuncio evangelico rivela l’autenticità dell’umile e sincera preghiera del pubblicano, che per questo “tornò a casa sua giustificato”, “a differenza dell’altro”.
Mi sembra opportuno sottolineare che la verità e l’efficacia della preghiera del pubblicano non è dovuta e limitata dalla sua concreta situazione del peccatore, ma è semplicemente e autenticamente la verità e la potenza di ogni preghiera!
Perché sempre la preghiera non è nostra impresa e vanto, ma evento di salvezza!
Per questo la nostra preghiera dei Salmi inizia sempre con il primo versetto del Salmo 70(71): “Dio vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto”!
La salvezza non nasce dal presunto merito delle nostre parole e dei nostri gesti, ma viene da Dio e dal suo amore misericordioso per noi peccatori!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Gesù racconta la parabola per “alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”: non ci saremo anche noi tra questi “alcuni”? Poiché, in effetti, noi ci consideriamo onesti, facciamo il nostro dovere, meditiamo tutti i giorni la parola di Dio… Forse non disprezziamo gli altri, ma un pochino di superiorità (intimamente) ce la sentiamo: superiorità di cultura, di pratica religiosa… Se le cose stanno così, oggi possiamo affiancarci al pubblicano, che se ne stava “lontano”, in fondo al tempio, e possiamo fare nostra la sua preghiera: “O Dio – diceva alla lettera -, sii reso propizio nei miei confronti”. Metti da parte la mia condanna, cancella i miei peccati, ristabilisci la tua relazione d’amore con me…