20 Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore. 21 Costoro lo interrogarono: «Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio. 22 È lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?». 23 Conoscendo la loro malizia, disse: 24 «Mostratemi un denaro: di chi è l’immagine e l’iscrizione?». Risposero: «Di Cesare». 25 Ed egli disse: «Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». 26 Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.
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Non dobbiamo stupirci del fatto che, mentre ci sta ricordando gli elementi essenziali della fede, Gesù passi attraverso il problema del rapporto tra la condizione del discepolo e il suo comportamento nei confronti del potere politico e statuale, rappresentato qui da “Cesare”, che non è citato come persona direttamente identificata, nè come forma definita di un potere politico, ma genericamente come il potere dello stato. E’ quindi molto interessante che l’insidia nei confronti di Gesù si ponga all’interno di questioni riguardanti il rapporto con Dio: la confusione dei piani è sempre in agguato, e il nostro testo non è esente da tutti i rischi di un’interpretazione che alla fine “sacralizza” il potere mondano anche quando pretende di subordinarlo a quello di Dio o a quello di chi rappresenta il potere divino.
Al centro della nostra riflessione sta dunque il verbo del ver.25 che opportunamente il tradutore italiano ha reso con “restituite”, piuttosto che con un “date” più esposto a interpretazioni devianti. Detto questo, mi pare che sia evidente l’intenzione della risposta di Gesù, che è quella non di stabilire una semplice distinzione di piani, ma di evidenziare l’assoluta disomogeneità dei due riferimenti del suo discorso, e cioè Cesare e Dio. Sono sempre più convinto che questo punto va’ tenuto ben fermo, anche se ciò nulla toglie alla “doverosità” di pagare le tasse e di adempiere a tutti i doveri del cittadino. Anche nell’attuale clima di esaltazione della cosidetta “legalità” spesso affannosamente esaltata anche dai responsabili della comunità ecclesiale, è molto importante osservare con attenzione le parole che il Signore ci dona in questo testo.
Notiamo quindi che è Gesù stesso a portare il quesito che gli è stato posto su un piano imprevedibilmente impegnativo. E’ Lui infatti a introdurre la relazione Cesare-Dio con una rilevanza che non appariva tale anche nella citazione che di Dio facevano i suoi interlocutori quando gli attribuivano con intenzioni forse non limpide il fatto che Egli insegnava “secondo verità la via di Dio”(ver.21). Gesù pone frontalmente le due “autorità”, perchè sa bene quanto la divinizzazione del potere mondano aggredisca l’animo umano, sia quando si adora Cesare sia quando si giustifica l’insubordinazione o addirittura il rifiuto totale nei suoi confronti.
Con il comando di “restituire” a Cesare quello che gli è proprio e a Dio quello che è solo di Dio, la questione viene risolta in modo limpido e semplice. E questo proprio attraverso l’osservazione circa l’immagine e la scritta riportata sulla moneta. In tutto ciò infatti resta sottinteso e perennemente delicato il secondo elemento del confronto. Infatti, se la moneta è evidentemente di Cesare, chi o che cosa è assolutamente solo di Dio? La risposta non può essere che una: l’uomo, la persona umana, e tutto quello che alla persona umana deve essere riservato e dedicato. La persona umana è infatti quella “moneta” che porta in sè e su di sè l’immagine e l’iscrizione di Dio.
Verrebbe spontaneo concludere che restituire a Cesare la sua moneta è condizione liberante per non adorare Cesare. Adempiere il proprio dovere di cittadino attribuisce al cittadino stesso il potere – e il dovere, se è cristiano – di non cedere a Cesare quello che non è di Cesare perchè è di Dio. In questa sede non affrontiamo il tema delicato del perchè Dio non sia estraneo all’esistenza e al potere di Cesare. Ci limitiamo a cogliere il senso della risposta del Signore alla domanda di chi vuole metterlo in difficoltà. La conclusione del ver.26 ci mostra che evidentemente tale risposta impedisce ai suoi detrattori di “consegnarlo all’autorità e al potere del governatore” come desideravano secondo il ver.20. E tuttavia la risposta di Gesù lascia completamente aperto lo spazio dell’assoluta libertà del cristiano di fronte al potere statuale, quando questo pretendesse di porsi e imporsi con autorità sacrale. Sono consapevole che si fa presto a dirlo ma è meno semplice sciogliere i problemi che via via si pongono. I vecchi come me ricorderanno certe retoriche scritte sui muri che mettevano insieme Dio e la patria. Speriamo che vecchi e giovani, sappiamo opporci alle “legalità” che offendono e aggrediscono nelle persone, e soprattutto nei poveri, l’immagine di Dio che è in ogni uomo e donna della terra.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Ho trovato i versetti di oggi molto legati a quelli precedenti sui vignaioli.
L’elemento comune mi è sembrato il ‘restituire’, il ‘rendere’ quanto abbiamo, perché di quello che abbiamo niente è nostro.
In particolare mi è piaciuto come Gesù liquidi in fretta la faccenda dei tributi e del denaro trasmettendo, secondo me, anche una certa serenità ‘di chi è l’immagine e l’iscrizione?’ ,‘ rendete dunque..’.
‘Rendete a Dio ciò che è di Dio’ mi sembra invece ci ribadisca che stiamo lavorando per il padrone della vigna ed il raccolto, se c’è, è per Lui.
La bella notizia di oggi mi pare sia la nostra povertà e la nostra libertà. Dopo i versetti di oggi non ci rimane niente di nostro, nessun falso tesoro a cui attaccare il cuore.
Ci resta solo l’intima certezza di essere stati salvati, di essere continuamente amati dal Signore.
Così si va avanti decisamente più leggeri nel cammino..
Lo spero anche per i pellegrini di Santiago!
Mi colpisce l’accostamento delle letture di oggi: Paolo costretto ad appellarsi a Cesare e il “rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” pronunciato da Gesù. Anche Gesù fra non molti giorni sarà consegnato, si consegnerà, al potere mondano. Per questa consegna noi possiamo gioire oggi della nostra appartenenza a Dio.
Anche questo episodio si svolge nell’area del tempio; c’erano qui i tavoli dei cambiavalute, poichè le monete correnti non potevano entrare nel tempio, essendo dotate di immagini (assolutamente proibite) e di iscrizioni. L’uso della moneta comportava, infatti, un’accettazione del potere, del dominio di chi la imponeva. Ecco perchè l’uso della moneta romana era considerato, da molti israeliti, una inammissibile sottomissione all’Augusto,”divino” imperatore romano. Mi sembra quindi che Gesù denunci l’incoerenza, la falsità dei sacerdoti e di tutti coloro che fingono di porsi il problema, ma in realtà non si fanno scrupolo di usare la moneta (infatti, appena Gesù ne chiede una, la presentano) e di curare i loro affari economici con i dominatori del momento. – Nell’ampia e ricca spiegazione di don Giovanni, riprendo l’idea finale: è l’uomo che, creato a immagine di Dio, gli deve essere reso… E aggiungerei: il popolo tutto di Dio, che porta la presenza e il sigillo dello Spirito. Si può pensare che anche a questo si riferisse Gesù dicendo “Rendete a Dio quel che è di Dio”: rendergli quel popolo che sacerdoti, scribi e farisei Gli avevano sottratto con una religiosità fatta di pesi, di regole assurde, di offerte a loro vantaggio…
Il testo si collega in modo forte con quanto precede, con la contestazione dei capi a riguardo dell’autorità di Gesù e con la successiva parabola dei vignaioli e il loro rifiuto di dare al padrone della vigna i frutti della vigna.
Gesù è consapevole della malizia degli interlocutori e nello stesso tempo è consapevole di quale sarà l’esito del suo viaggio a Gerusalemme; da questa duplice consapevolezza esce la sua risposta, così imprevedibile, ai suoi interlocutori.
La linearità della risposta di Gesù contrasta con la tortuosità delle intenzioni e anche delle parole degli interlocutori. La risposta da lui data non riguarda solo il quesito, ma pone più in generale il problema della disposizione interiore, dell’orientamento profondo della vita, da cui poi inevitabilmente dipenderà il modo di rapportarsi con le contingenze della storia.
L’annotazione che si fingevano persone oneste (giuste) non è secondaria; l’ipocrisia di ritenersi giusti è infatti l’alternativa alla via della “restituzione” proposta da Gesù. Già sabato avevamo sottolineato la pretesa di una propria giustizia come una lettura possibile in sottofondo dell’immagine dei vignaioli che vogliono possedere in proprio l’eredità.
Così come Gesù non è venuto ad abolire la legge di Mosè, così di per sé non è venuto a rovesciare le leggi umane, ad esempio i tributi (vedi anche Romani 13), ma a fare sì che potessimo vivere tutto con intenzione e animo rinnovato, in novità di vita.