9 Poi cominciò a dire al popolo questa parabola: «Un uomo piantò una vigna, l’affidò a dei coltivatori e se ne andò lontano per molto tempo. 10 A suo tempo, mandò un servo da quei coltivatori perché gli dessero una parte del raccolto della vigna. Ma i coltivatori lo percossero e lo rimandarono a mani vuote. 11 Mandò un altro servo, ma essi percossero anche questo, lo insultarono e lo rimandarono a mani vuote. 12 Ne mandò ancora un terzo, ma anche questo lo ferirono e lo cacciarono. 13 Disse allora il padrone della vigna: Che devo fare? Manderò il mio unico figlio; forse di lui avranno rispetto. 14 Quando lo videro, i coltivatori discutevano fra loro dicendo: Costui è l’erede. Uccidiamolo e così l’eredità sarà nostra. 15 E lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Che cosa farà dunque a costoro il padrone della vigna? 16 Verrà e manderà a morte quei coltivatori, e affiderà ad altri la vigna». Ma essi, udito ciò, esclamarono: «Non sia mai!». 17 Allora egli si volse verso di loro e disse: «Che cos’è dunque ciò che è scritto:
La pietra che i costruttori hanno scartata,
è diventata testata d’angolo?
18 Chiunque cadrà su quella pietra si sfracellerà e a chi cadrà addosso, lo stritolerà». 19 Gli scribi e i sommi sacerdoti cercarono allora di mettergli addosso le mani, ma ebbero paura del popolo. Avevano capito che quella parabola l’aveva detta per loro.
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La parabola della vigna l’ho vista come un riassunto della nostra condizione. Un po’ ‘coltivati’ e un po’ ‘coltivatori’ gli uni degli altri in cui il raccolto, se c’è, è per il Signore.
In questa tensione della nostra vita ho visto anche la seconda parte del brano.
Alla fine del salmo 136 ‘Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra.’. Ricordo un vecchio diacono , nato a San Giovanni in Persiceto ed ora missionario, che sottolineava come quei piccoli che andavano a incontrarsi con la pietra eravamo noi con il Signore.
‘Cadere sulla pietra’ diventa allora molto simile a ‘morire’ sulla Pietra, forse.
M è piaciuto che sia nella prima parte che nella seconda la fine, il succo, sia il Signore e la sua Pasqua.
‘La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo: ecco l’opera del Signore, una meraviglia ai nostri occhi.’.
Che meraviglia,davvero!
Possiamo sottolineare la continuità con il brano precedente, e quindi l’affermazione forte da parte del Signore circa la compattezza di una vicenda che da sempre ha accompagnato il dramma di Israele, e cioè la non accoglienza dei profeti. Oggi quindi Gesù dilata questa sua comunione, da Giovanni Battista a tutti i profeti mandati da Dio a cogliere il frutto della vigna di Israele. Ascoltare oggi da Isaia 5 l’immagine della vigna è molto interessante per cogliere sia la continuità sia la discontinuità-novità che tutto assume nella persona di Gesù. Il rifiuto dunque del Figlio prediletto (perchè il traduttore italiano lo chiama “unico”?), l’Amato, fa seguito a tutti gli invii precedenti, ma assume una gravità del tutto particolare.
Al centro di tutto sembra porsi la continuità di un peccato, che fin dalle origini – è il peccato originale! – si colloca come perenne tentazione del cuore umano: quello di impadronirisi di ciò che è di Dio e a noi è solo affidato!! I peccati sono molti, ma hanno tutti qui la loro comune origine. Tutto è nostro perchè è affidato alla nostra responsabilità. Tutto viene deturpato – sia l’umanità sia il creato – quando ce ne facciamo padroni. “L’eredità sarà nostra” del ver.14 è la molla che fa scattare il male dell’uomo e per l’uomo.
Ma qui bisogna sottolineare un passaggio di grande rilievo, al quale vedo che le note delle bibbie danno spiegazioni puramente redazionali. A me sembra invece che qui Gesù voglia evidenziare il radicale cambiamento di prospettiva provocato dalla sua venuta e dalla sua presenza. Mentre infatti sino al ver.14 l’obiettivo dei responsabili del popolo è quello di impossessarsi della vigna, con il Figlio tutto si concentra non sulla vigna ma su Colui che è la vera vigna-vite (come ascoltiamo da Giovanni 15), di Dio. Per questo, la vigna che Dio “affiderà ad altri” (ver.16), è quel “regno di Dio” che si è reso presente nella persona del Figlio, e che dona a tutto il volto nuovo che la profezia di Israele ha lungamente atteso.
Ecco allora l’immagine della pietra scartata che diventa “testata d’angolo” secondo il Salmo117(118),22, ed è il Signore Gesù stesso, giudizio ultimo e definitivo di tutta la storia, a partire da coloro che lo negano e lo uccidono (peccato di cui tutti siamo complici). Siamo ormai al cuore del dramma che provoca in una parte di Israele il rigetto del Messia del Signore. E siamo anche al cuore della rivelazione di una universale salvezza donata da Dio nella persona del suo Figlio amato.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Di questa parabola che Gesù racconta per noi e che parla di noi mi colpiscono due cose: la prima è l’atteggiamento possessivo, violento, cieco dei vignaioli ai quali la vigna era stata affidata. Non hanno nessun riguardo, nessun senso di colpa, nessun senso della realtà, nessun timore dell’autorità della forza del padrone arrivando anche ad uccidere l’erede.
La seconda è l’atteggiamento del Padrone: manda tre servi e tutti subiscono la stessa sorte e poi si illude che davanti al Figlio amato quei malvagi cambino. Manda deliberatamente il Figlio a morire!
Quindi la parabola racconta esattamente quello che accade nel nostro cuore: violentemente dimentichiamo che tutto quello che abbiamo ricevuto non è nostro e non capiamo l’importanza della visita dell’erede prediletto!
Come non disperare? Leggo la risposta nei commenti che mi hanno preceduto! grazie!
C’è una progressione nella violenza dei vignaioli, che raggiunge il suo culmine con il figlio, che già era stata preconizzata nel libro della Sapienza riguardo agli “empi”, i cui passi corrono al male. C’è una coerenza negativa che non può che portare ad una escalation della violenza. L’invio del figlio dopo ciò che è accaduto ai servi ha come corrispondente l’obbedienza del figlio che come dice la lettera ai Filippesi è “fino alla morte e alla morte di croce”.
I vignaioli non hanno una relazione diretta con il padrone della vigna, che è presentato come partito per una terra lontana. Non possono avere relazione con lui, se non tramite quanto hanno ricevuto e quanti sono a loro mandati. Ma essi mostrano un interesse per quanto ricevuto (la vigna) in sè, fino ad ambirne il possesso, invece che pea la relazione con il padrone della vigna, e di conseguenza con il figlio. Nel Vangelo di Giovanno c’è al cap.8 la rivendicazione dei giudei di essere stirpe di Abramo, come dato assoluto e in contrapposizione a Gesù/figlio. Così pure il rapporto con la parola può essere chiuso in sè stesso, per la rivendicazione di una propria giustizia, estraniato da una relazione viva con il Datore della parola.
Come al cap.16 di Matteo Gesù comincia a dire ai suoi discepoli del mistero della sua Pasqua, qui comincia a dire questa parabola al popolo. Anche la reazione del v.16 “Non sia mai”, può fare venire in
mente quella di Pietro in quel testo di Matteo. E’ forse possibile pensare che qui da una parte si rivolge ai capi per mostrare in che flusso di violenza sono entrati, d’altra parte mostra al popolo, e non più soltanto ai discepoli, seppure con una parabola, il mistero della sua pasqua, la necessità che questa avvenga e, con la sua risposta al “non sia mai”, la sua risolutezza che questo avvenga.
Il v.18 sembra affermare che comunque nessuno potrà “scansare” questa pietra. Quetsa distruzione generale la si potrebbe vedere anche come quell’azione della messa che opera in noi la morte della creatura,
per la resurrezione e la glorificazione del verbo incarnato.
Al cap.8 Gesù aveva motivato il suo parlare in parabole con il fatto che gli altri dai discepoli non capissero. però qui i capi capiscono benissimo, forse come segno della loro ormai totale identificazione con il pensiero e l’azione dei vignaioli della parabola.
Mi soffermo sull’ultmo versetto “infatti avevano capito che aveva detto quella parabola per loro”, per considerare come questo sia vero e inquietante per ciascuno di noi: tutte le tentazioni, le giustificazioni, le “sacrosante” motivazioni degli uomini del sinedrio mi appartengono profondamente: l’insegnamento di Gesù è troppo “altro” dalla quotidianità di una religiosità di abitudine, di rito, di consolazione, di tradizione per poter essere accolto. Questa parabola è per me sino all’assurdità più estrema per cui quel Figlio diletto mandato a morire (anche per mano mia) è la mia unica speranza di salvezza.
Qui Gesù parla in modo proprio chiaro di se stesso e del Padre: è, sì, una parabola…, ma talmente realistica da suscitare quella violenta reazione dei capi d’Israele: “Non sia mai!” – Colpisce come il padrone della vigna “si illuda”: si ostina a sperare che almeno il figlio sia accolto, rispettato. Mi sembra una bella immagine del Padre che si ostina a credere in noi, a stimarci, a volerci bene…, nonostante tutto. Anche questo è un bel mistero: non piacciamo – tante volte – nemmeno a noi stessi,
eppure a Lui piacciamo! – Noto anche che il figlio viene ucciso “fuori dalla vigna”, come sarà per Gesù fuori dalla città… Ma “la pietra scartata dai costruttori è diventata pietra angolare”: non ho mai sentito approfondire bene questa forte immagine. Cosa sia esattamente una “pietra angolare”, perchè sia così importante nella costruzione di un edificio, ecc. Resta il fatto che il Signore Gesù è la nostra pietra angolare, sulla quale siamo stati edificati e la costruzione cresce…