Caro don Giovanni, dunque, non ce se la fa! Lei chiede alle nostra case di essere ospitali, ma noi non ci riusciamo. Le propongo una sosta di riflessione. E magari l’avvio di una riflessione approfondita. Proviamo a gettare un sasso nello stagno: perché non riusciamo ad essere accoglienti? E non penso alle bieche affermazioni che non vedono nel diverso se non il nemico e l’invasore. Ma noi, che pensiamo di appartenere ad una tutt’altra impostazione di pensiero, come mai siamo ugualmente chiusi? Ed è chiaro che questo genera in noi un malessere grave. Io personalmente nei suoi confronti sento un grande bisogno di entrare nei suoi pensieri e nelle sue proposte, e una grande rabbia per il disturbo che questi pensieri mi danno. Io non ospito proprio nessuno, mentre un mio figlio a questa ospitalità si è aperto. E pensi che lui a Messa non ci va, mentre io vengo alla sua Messa ogni domenica. Come la mettiamo?
La sua lettera mi ha affascinato, e per questo ne ho pubblicata una non piccola parte. Ma mi conquista anche il suo pensiero, che accolgo, mi creda, con stima e affetto. Perché è vero che il problema è più grande di noi. Ed è molto più grande di me, malgrado le mie dichiarazioni. Se faccio memoria della mia lunga vita, certo devo dire che sono stato molto fortunato. La domenica, nella nostra grande casa borghese, c’erano molte volte decine e decine di persone, tutti amici dell’uno o dell’altro di noi, e molto diversi tra loro e da noi! Ho vissuto il lusso di una casa aperta come lo era la cultura, e, devo dire, la fede cristiana dei miei genitori. Ricordo che ero già a studiare all’Università romana dei Gesuiti quando sentii la protesta di mio papà perché mia sorella ospitava un grande capo milanese della contestazione e lo aveva fatto dormire nel mio ex-letto di casa. E lui mi aveva detto che sarei andato a finire a dormire “testa-e pè con un negher” che non si è proprio realizzato del tutto, ma quasi. Il suo discorso merita di essere portato avanti. Oggi le dico che mi sembra che la nostra cultura-sottocultura sia diventata custode infelice, e difesa disperata, della solitudine. Siamo a tutti i livelli, molto spesso, infelici vittime e custodi gelosi di una vita solitaria e malinconica. Non sopportiamo relazioni profonde e stabili di cui in segreto siamo gelosi. Abbiamo paura di aprirci a relazioni nuove e coraggiose che sostituiamo con l’universalità fittizia dei telefonini. Non è il momento di sgridare e giudicare, ma piuttosto è l’occasione per riflettere e per cercare vie nuove di relazione e di pace. Cose che non ci stanno nella doverosa strettezza di questa piccola rubrica. Che il Signore ci regali l’occasione per riflettere insieme. Intanto, buona domenica a lei e ai cari lettori del Carlino.
Giovanni della Dozza.
Nota: Articolo pubblicato su “Il resto del Carlino – Bologna” di domenica 12 Marzo 2017 nella rubrica “Cose di Questo mondo”.