Caro don Giovanni, l’anonimato che Lei offre in questa sua rubrica che per molti che conosco è diventata un appuntamento domenicale atteso e seguito, mi incoraggia a confidare un pensiero che forse altre persone che hanno vissuto la mia stessa esperienza portano in se stesse, non trovando, come non lo trovo io, il coraggio di pensarne l’attuazione. Quindici anni fa sono rimasta incinta di un bambino il cui padre sarebbe stato l’uomo che poi ho sposato e con il quale vivo un rapporto profondo e felice. Felice, ma fortemente provato dall’assenza di figli. Allora, giovanissimi io e lui, non abbiamo saputo accogliere l’evento, e lo abbiamo respinto. Per molti anni ho pensato che questo fosse il giudizio e il castigo di Dio per quel nostro peccato. Un peccato doloroso anche perché io e mio marito siamo entrambi credenti. Adesso è venuto avanti il pensiero che potremmo accogliere un bambino in difficoltà e magari non desiderato da chi lo ha generato. Che cosa ne pensa?
Carissima signora, innanzi tutto la ringrazio vivamente per le sue parole che, sono certo, daranno consolazione e gioia a molte altre persone. La mia vita di cristiano e di prete ha conosciuto ampiamente questa grazia del Signore. Molte famiglie di miei amici hanno aggiunto figli ai loro figli. La mia stessa famiglia di fratelli e sorelle consacrati a Dio è stata arricchita dall’accoglienza di chi era in situazione delicata in una famiglia in situazione delicatissima. L’adozione è un cammino complesso e giustamente accompagnato da molte condizioni. Quando si è trattato di un bambino portatore di minorità, il provvedimento del Tribunale è stato più sollecito. Questi piccoli, che oggi sono adulti, e anche quelli che, per le loro infermità, sono già in Paradiso, sono stati un grandissimo regalo per la casa che li ha accolti e per tutta la nostra comunità ecclesiale. Insieme a queste poche parole di risposta le posso offrire ogni segno di amicizia e solidarietà che, intraprendendo questa strada, voi desideraste e chiedeste. In ogni esistenza umana è il mistero stesso di Dio che si incarna e si rende presente. In persone e vicende più ferite è la Pasqua stessa del Signore che viene ad abitare tra noi. Auguro ogni bene a lei e a suo marito. E una Buona Domenica ai miei carissimi lettori.
Giovanni della Dozza.
Domenica 5 luglio 2015.