1 Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2 e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3 Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4 Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5 Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6 Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7 e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
8 Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9 Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10 Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11 Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Nel precedente capitolo Gesù ricordava il “vedere” da parte di Abramo “il giorno”, cioè l’evento, della sua venuta e della sua presenza nella storia dell’umanità. Il cap.9 si apre con il “vedere”, da parte di Gesù, quest’uomo cieco fin dalla nascita. La luce è al principio della creazione (Genesi 1,3). Al ver.5 dirà: “Finchè io sono nel mondo, sono la luce del mondo”. Evendentemente quest’uomo rappresenta la condizione di tutta l’umanità, e in certo senso di tutto il creato.
E’ quindi molto importante il superamento tra peccato e colpa che con forza e delicatezza viene affermato da gesù ai vers.2-3 qaundo i discepoli gli chiedono da dove e da chi e che cosa si provocata tale cecità. Non si tratta di una condizione legata ad una singola determinata responsabilità. O a singole situazioni ed eventi. E’ la condizione, il “Punto di partenza” di ogni persona, di ogni vita collettiva, di ogni vicenda. E su tutto subito risplende la luce della speranza del Signore! Anche la situazione più cupa e disperata è ormai chiamata verso la presenza del Slavatore nella creazione e nella storia dell’intera umanità. la fede di Israele ha preparato tutto questo, ha tolto proprio attraverso la santità della Legge e della profezia ogni illusione e ogni ambizipone umana di una propria risoluzione e di una propria giustificazione, e ha condotto tutti e tutto davanti a Colui che solo è “la luce del mondo”, il compimento della prima creazione: “Sia la luce”. Finalmente è l’ora in cui saranno “manifestate le opere di Dio”. Per questo il Padre lo ha mandato. Il “finchè è giorno” del ver.4 più che avere un significato temporale, è il raccogliersi di tutta lasperanza nella persona e nell’opera di Gesù.
Ed ecco allora l’evento “strano” e meraviglioso dei vers.6-7: la nuova creazione! La creatura umana come l’incontro tra la fragilità della terra e l’intimo di Dio, l’incontro dunque tra Dio e l’uomo come rivelazione del mistero della creazione e della storia. Lui, Gesù, è quell’ “Inviato”, che la piscina di Siloe ha preparato e rappresenta nel segno sacramentale.
I vers.8-12 aprono un tema che ci accompagnerà con intensa potenza per tutto il capitolo, e cioè il tema dell’ “identità”: l’identità del Salvatore soprattutto. Ma anche l’identità del salvato come qui ascoltiamo dai vers.8-9. Con una annotazione e una precisazione di grande portata: la condizione “mendicante” dell’uomo sanato. Si può cogliere in questa condizione di severa umiltà-umiliazione il frutto maturo della Prima Alleanza, che è pienamente feconda non quando pretende di avere in se stessa la sua potenza di redenzione e di salvezza, ma quando porta l’umanità ad attendere, a gemere e a supplicare la venuta e la presenza del Salvatore. In questa senso il cieco nato rappresenta quindi il frutto migliore, il pieno compimento del tempo della Legge e della Profezia, opposto alla pretesa e all’inganno di ogni sapienza farisaica.
Nel dibattito circa l’identità dell’uomo cieco è meravigliosa l’umile e risoluta testimonianza che egli dà di se stesso: “Sono io!”. Di questo egli ha assoluta certezza. Lui è l’uomo nato cieco. Lui è l’uomo che ora ci vede. La sua esperienza diretta, umile, diretta e profonda è la vera sorgente della sua testimonianza e del suo crescente potere di sapienza e di annuncio. Anche il racconto della sua vicenda, al ver.11, è insieme umile e potente!
Resta invece aperto l’enigma circa la persona e l’opera del Salvatore, quasi a esprimere il dilemma perpetuo e mai concluso dell’identità del Figlio di Dio e della sua opera di salvezza.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Gesù vide un uomo cieco fin dalla nascita. Gesù lo vede, mentre l’uomo cieco non può ancora vederlo, ma solo ascoltarlo. I discepoli cercano la motivazione della condizione di quel cieco in ciò che è preceduto: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perchè nascesse cieco?”. Invece il Signore vede la sua condizione importante per ciò che seguirà: “Siano manifestate le opere di Dio!”. E’ un totale ribaltamento di prospettiva: quello che è davanti è bello; quello che sta dietro, non importa molto, non vale la pena cercare ciò che ha causato quello stato. Il v.3 è importantissimo per non fare errori grossolani di valutazione: non collegare la condizione di malattia al peccato, come invece fanno i discepoli, e come è tradizione dovunque; non dire mai: “Se lo è meritato!” Il v.4 aggiunge che questa condizione di cecità è anzi occasione perchè vengano manifestate le opere di Dio. E queste opere è il Signore che deve compierle, insieme ai suoi: “Dobbiamo compiere le opere di Colui che mi ha mandato finchè è giorno…”. Nelle condizioni di malattia, di minorità e imperfezione, con cui ci imbattiamo, dobbiamo riconoscere l’occasione che ci è data, qui e ora, di operare insieme a Gesù, per migliorare tale situazione. Ben sapendo che “senza di Lui non possiamo fare nulla”, e che quanto facciamo è in realtà parte delle “opere del Padre” che ci ha messo davanti perchè noi operiamo in esse. Tutto questo, ci dirà Gesù nel cap. 1, è per la glorificazione del Figlio e di Dio Padre, non nostra. Però in questi v. iniziali che avranno un approfondimento nelle ultime battute del cap. nel dialogo di Gesù con i farisei, indicano non solo la necessità di non collegare la malattia al peccato, ma anche – per la forza di segno che queste parole hanno, riguardo la cecità di tutta l’umanità – si possono intendere come uno svelamento di quello che è dato all’umanità tutta da Gesù. Allora le parole del Signore diventano ancor più stupefacenti, perchè in realtà l’umanità ha alla sua origine una vicenda di peccato, una falsa “illuminazione degli occhi” a vedere il frutto della disubbiudienza a Dio, però il Signore nega il collegamento, perchè ciò che è importante e rilevante è la forza del dato positivo, della guarigione che Lui è venuto a portare all’umanità colpita da cecità. Lui, “luce del mondo” è venuto per annullare completamente le tenebre del mondo.