5 Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6 Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7 E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8 Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9 Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10 e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
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Gesù manda intenzionalmente i servitori dal maestro del banchetto. Solo lui, esperto di nozze, può capire bontà di quel vino e l’assurdità di metterlo in tavola a quel punto della serata: nessuno mette in tavola il vino buono, il migliore, quando ormai tutti sono ubriachi. E’ un terribile spreco. Circa 600 litri di ottimo vino ad un banchetto di ubriachi!!
Il miracolo però è proprio questo. Il Signore dà in sovrabbondanza, contro ogni misura e logica umana.
Le altre “assurdità” del vangelo che mi sono venute in mente sono:
– il vitello grasso sacrificato per il figlio che aveva sperperato tutti gli averi del padre, ritrovato.
– l’unzione di Betania quando Maria spreca il profumo del valore di 300 denari.
– il padrone della vigna che manda il Figlio quando i vignaioli hanno già massacrato decine di servi.
– quando Gesù dice ai discepoli che dovrà patire molto da parte dei capi e venire ucciso. Pietro si ribella e cerca di distoglierlo beccandosi un rimprovero durissimo.
Credo proprio che sia Gesù stesso quel vino nuovo, buonissimo, che arriva sulla scena della storia quando ormai le nozze tra Dio e il suo popolo erano già una realtà… una realtà nata nel deserto, celebrata nel tempio di Gerusalemme, ma che attendeva le nozze piene: ora lo sposo Gesù dona la vita per la sua sposa. Muore per lei!
Pensandoci bene nella nostra vita di tutti giorni, nella quale siamo un po’ sazi, assuefatti, stanchi solo il Vangelo, il Signore del Vangelo, Gesù, il vino nuovo ci ridesta, ci rallegra nel profondo, ci stupisce di gioia, ci rende davvero felici!
La ripresa del ver.5 mi incoraggia a sottolineare che in tutta la vicenda di Cana non ci troviamo davanti a contraddizioni e discussioni, ma che tutto è fortemente legato e armonico. Come dunque si deve cogliere la successione forte tra la denuncia della mancanza di vino da parte della Madre e l’affermazione di estraneità con l’indicazione dell’ora della croce da parte del Figlio, così è in perfetta continuità l’indicazione della Madre ai servi sul fare quello che il Figlio dirà e quindi l’obbedienza di questi. Quindi l’ “anticipo” dell’ora nel miracolo di Cana mi sembra vada considerato il volto profondo di ogni “segno” (cioè, nel linguaggio giovanneo, di ogni “miracolo”) compiuto da Gesù, perchè ogni “segno” – e potete pensare alla vicenda del cieco nato in Giovanni 9, o alla risurrezione di Lazzaro in Giovanni 11 – è sempre in ogni modo “orientato” verso la sua Pasqua, e quindi deve essere colto sempre come illuminazione-spiegazione e fecondità dell’evento pasquale della morte e della risurrezione del Signore.
Ed è importante tener conto che la base, il punto di partenza di questi “segni” è sempre quello che la Prima Alleanza ha definito nella fede e nella storia dei padri ebrei. L’insuperabile povertà della condizione umana, la sua ferita mortale, le tenebre invincibili del cuore e della vita, il male del peccato e della morte, come qui, le impossibili nozze…, la fede e la sapienza del popolo di Dio è attesa e profezia di Colui che solo può portare la salvezza. E quindi quello che la fede ebraica viveva nel suo limite è attesa e speranza del mistero del Messia del Signore. Allora, le sei anfore di pietra per la purificazione dei Giudei ben rappresentano la secolare attesa della salvezza, lo splendore e il limite di un’economia ancora non compiuta e la potenza di un’attesa nella speranza che si adempirà nel Cristo Signore. Quello che prima purificava ma non sanava e non faceva nuovi, ora deve diventare il segno delle grandi nozze e della comunione piena tra Dio e il suo popolo per la salvezza dell’intera umanità.
Troveremo altre figure nel Vangelo secondo Giovanni simili a quest’uomo che “dirige il banchetto” (“maestro di tavola” lo qualificava la precedente versione italiana), e si tratta di figure che sembrano vegliare e custodire la fedeltà di Israele ed essere il segno di un’economia compiuta che ora deve “cedere” alla sua stessa pienezza. Qui mi sembra molto interessante questa “sapienza del non sapere”. Incontriamo una piccola espressione, “da dove”, che accompagnerà e affiorerà spesso dalla memoria evangelica di Giovanni. Veramente l’abbiamo già incontrata nella chiamata di Natanaele, quando questi si stupisce e chiede a Gesù “da dove” lo conosce (ver.1,48), che però non è custodito nella versione italiana. Questo “da dove” che il mondo non può conoscere, e che neppure colui che dirige il banchetto può conoscere, e che solo chi, come i servitori, ha fatto ciò che Gesù dice, ora conosce, esprime quell’ “ambito” di Dio sconosciuto a tutti, che può essere solo dono della fede in Gesù.
E il dono non è solo “l’acqua divenuta vino”, ma anche e sopratutto questo vino buonissimo. L’osservazione-ammonizione rivolta al povero sposo non è solo una lezione di enologia, ma infinitamente di più! Il ver.10 infatti proclama il “capovolgimento ” di tutto quello che è stato finora, e cioè l’implacabile ritmo di ogni realtà, sempre destinata a camminare dalla vita alla morte, e quindi prigioniera di un destino che l’orienta verso la decadenza e verso il nulla. Il “vino buono” comparso alla fine, o meglio, divinamente custodito per la fine, diventa il segno di una vita radicalmente rinnovata, al punto che ora non si va più dalla vita alla morte, ma dalla morte alla vita. Tutto è sempre chiamato a risurrezione. Tutto è sempre ormai immerso nella Pasqua di Gesù.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Mi è molto piaciuto al v.5 l’invito deciso di Maria ai servitori di obbedire a Gesù.
Obbedienza che i servitori riescono a osservare, ascoltando la sua Parola ed eseguendo con fedeltà il loro piccolo compito.
I servitori sanno, a differenza del maestro, cosa c’è dietro a quel vino buonissimo. Ma se fosse stato solo per loro gli invitati avrebbero bevuto acqua. E’ Gesù a salvare la situazione.
Mi è piaciuto anche pensare che sia il suo sangue il vino buono, che arriva dopo il vino dell’antica alleanza.
Con la speranza di poter essere messi insieme a quei servitori, per poter ascoltare Gesù e fare qualsiasi cosa Lui ci dica.
“E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.” Mi piace il ruolo dei servitori. Non capiscono, ma fanno quello che dice Gesù. Riempiono di acqua le sei anfore di pietra, segno dell’antica alleanza. Solo acqua possono mettere. Solo l’acqua noi possiamo mettere, ma serve la nostra acqua. Gesù non opera senza di noi. Gesù innesta se stesso, la sua pasqua, il suo mistero di amore sulla nostra povera offerta, sui cinque pani e i due pesci del ragazzino, “moltiplicati” per la moltitudine dei cinquemila, su quest’acqua trasformata nel vino della gioia, della vita e dell’amore, su quello che noi possiamo e dobbiamo fare. E mi piace, dei servi, la consapevolezza del miracolo. Loro, sì, lo sanno da dove viene il vino…la consapevolezza di avere messo solo acqua.