12 Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13 Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15 Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 16 In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. 17 Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. 18 Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto, ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno. 19 Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. 20 In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».
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Sembra che il gesto compiuto da Gesù nei confronti dei discepoli gli consenta ora di esprimere in modo forte e pieno l’autorevolezza della sua signorìa e del suo magistero. E di chiarire dunque che la lavanda dei piedi non vuole dire l’opzione per una forma di anarchismo ugualitario. Quel gesto intende piuttosto affrontare il tema delicatissimo del potere e del volto che l’intera comunità può e deve assumere a partire dalla forza simbolica di quel gesto di umiltà e di di carità. Come abbiamo sottolineato l’importanza del suo “sapere” nei primi versetti del capitolo, ora prendiamo atto dell’appello alla responsabilità di questa sapienza nuova nella domanda del ver.12: “Sapete che cosa ho fatto a voi?”. E subito esige che la lavanda dei piedi sia colta veramente come atteggiamento e gesto concreto da parte di chi è ritenuto, ed è, “Maestro e Signore”.
Ed è molto forte l’intenzione espressa da Gesù al ver.14, quando afferma che tale deve essere la volontà e l’agire di tutti i suoi discepoli: “…ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. Dunque, non è solo il dovere di alcuni che esercitano un potere e un magistero, ma “tutti” devono essere in questo modo “signori e maestri” . Si tratta di un paradigma, di una regola di comportamento per ogni figlio di Dio. E l’insistenza su questo dato continua e si precisa: ognuno deve considerarsi in piena responsabilità un servo che obbedisce e attua quello che ha visto nel suo padrone, e un inviato che deve celebrare e attualizzare il gesto di colui che lo ha mandato. Dico questo perchè non mi sembra che il Signore voglia dire di sottrarsi all’esercizio del potere, ma di cogliere e di accogliere il volto nuovo che non solo il singolo, ma l’intera comunità deve assumere per la potenza di quel gesto. In tal senso, una fisionomia “monarchica” della comunità non corrisponde all’insegnamento e all’esempio di Gesù. Tutti i discepoli sono chiamati a “rappresentare” il compito di signorìa e di insegnamento che Egli ha mostrato. Secondo il ver.17, è beatitudine, e quindi dono straordinario, questa nuova “sapienza” della reciprocità del governo e del magistero: tutti sono chiamati a mettere in pratica quello cha hanno visto e udito. Ne esce un volto e un agire inaspettato dell’intera comunità. Mi permetto di aggiungere un piccolo suggerimento: si potrebbe riflettere sullo spessore spirituale di un’affermazione del tutto laica che apre la nostra Costituzione: l’essere la nostra una repubblica democratica “fondata sul lavoro”.
E’ di grande spessore che a questo punto riemerga nelle parole di Gesù il tema del traditore. Mi sembra di cogliere nei vers.18-19 l’affermazione che “colui che mangia il mio pane e ha alzato contro di me il suo calcagno” è chi appunto nega e ripudia quello che Gesù ha appena mostrato e insegnato. Egli non è solo la fonte di questo volto nuovo della potenza e del potere, ma lo è come la “vittima” del vecchio potere di morte delle signorìe mondane. Dice questo “affinchè, quando sarà avvenuto, crediate che “Io sono”(ver.19). La sconfitta mondana del Cristo diventa la prova e la piena rivelazione della sua regalità. L’ “Io sono” della rivelazione divina dell’Esodo sarà manifestata con il rigetto di ogni mondanità del potere e con la glorificazione del potere crocifisso di Gesù.
Per questo mi sembra meravigliosa, al ver.20, la conclusione del nostro brano che sintetizza tutto nell’affermazione che questa non è solo la nuova linea di comportamento tra gli uomini e le donne chiamati alla salvezza, ma è prima di tutto la via per accogliere, in Gesù, Dio stesso.
Dio ti benedica E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il punto centrale del testo di oggi mi sembra il v.15: “Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”.
E’ una grazia straordinaria per noi avere l’esempio da seguire, il riferimento, la persona da imitare, da ascoltare, da ricordare, da testimoniare…
E non è una persona qualunque… un amico caro.. un genitore… ma è “il Maestro e il Signore”. Lui stesso, con i suoi gesti (quelli piccoli e quelli grandi) ci mostra come, dove e perchè imitarlo.
Dice addirittura al v.20 “chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato”. Il discepolo fedele, umile, piccolo di Gesù diventa a sua volta inviato e segno vivente del Padre!
Certo è un esempio impegnativo, forse impossibile da imitare pienamente. Per questo credo che ci rassicuri il v.16 “un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato” Non dobbiamo essere più grandi di Lui.
Quindi la grazia, secondo me, è proprio quella di avere il nostro Signore e Maestro del Vangelo come unico, eterno, vivissimo modello dell’amore e del servizio.
E saremo “beati” se ci metteremo in questa strada!
“…anche voi DOVETE lavarvi i piedi gli uni gli altri” (v. 14): quindi, se ci serviamo vicendevolmente, non facciamo altro che assolvere a un debito, come ricorda anche Paolo quando dice che non dobbiamo avere tra noi alcun altro debito se non quello di un amore reciproco. – “Vi ho dato l’esempio…” (v. 15): come suggerisce anche Andrea, non si tratta di un esempio morale: Gesù ci ha fatto vedere come si fa, ci ha dato la capacità di fare come Lui ha fatto. – I suoi “inviati” (apostoli) possono quindi fare come il loro Maestro e Signore: non sono “apostoli” per costituire una gerarchia, ma per andare a lavare i piedi… – Se facciamo così, siamo “beati”: è la sola beatitudine annunciata in Giovanni (insieme a quella del “credere senza vedere”). E’la beatitudine, la felicità che ci regala il servizio degli altri. Penso che almeno qualche volta l’abbiamo sperimentata.