Le letture di domenica 10 Aprile 2011, V di Quaresima (Anno A), sono:
Ezechiele 37,12-14
Romani 8,8-11
Giovanni 11,1-45
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Questo è l’ultimo foglietto prima della pausa pasquale. Il foglietto ritornerà con la domenica 15 Maggio, 4^ di Pasqua.
Buona Settimana Santa e buona Pasqua di pace e di gioia a tutti.
Giovanni 11,1-45
In quel tempo, 1un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.
1) Questa domenica chiude il ciclo dei tre scrutini battesimali; per i catecumeni la celebrazione del battesimo nella veglia pasquale è ormai vicina. Il battesimo è l’immersione nella morte di Gesù per risorgere con Lui a vita nuova: il ritorno alla vita di Lazzaro è figura del battesimo.
2) Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato»: la notizia che Gesù vuole bene a Lazzaro non è solo una annotazione storica. Lazzaro, prima gravemente ammalato e poi morto e chiuso nel sepolcro, rappresenta qui l’umanità che ha perduto il suo legame vitale con la fonte della vita. La notizia è che Gesù ama questa umanità.
3) Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio: è una frase misteriosa, perché poco più avanti troveremo Lazzaro morto. Questo richiamo alla gloria di Dio in contrasto con la malattia introduce il senso del segno che il Signore compirà: con la venuta nella carne del figlio di Dio è in atto un disegno di salvezza del Padre e si sta avvicinando la battaglia finale contro la morte, che si svolgerà nella Pasqua. Il segno che Gesù sta per compiere anticipa e rivela l’effetto che questa battaglia vittoriosa avrà sul destino dell’umanità.
4) Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti: nel dialogo con i discepoli si fa presente non solo Betania, ma anche Gerusalemme. Gesù deve andare perché c’è un tempo (le dodici ore del giorno) per fare la sua opera, un tempo che sta per finire.
5) Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là: Gesù è contento perché i discepoli, impauriti e preoccupati per quanto può succedere a Gerusalemme, riceveranno dal ritorno alla vita di Lazzaro una testimonianza che risulterà fondamentale per la loro fede.
6) Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà: dando sfogo al suo dolore, Marta rimprovera Gesù di non essere stato presente ed esce con questa preghiera, umanamente così temeraria, ma appoggiata a una consapevolezza (io so), che si appoggia a un percorso di fede oltre che alla familiarità con il Maestro.
7) Io sono la risurrezione e la vita: è il culmine di tutto il colloquio tra Gesù e Marta. Io sono richiama la rivelazione di Dio a Mosè in Es 3,14 io sono colui che sono. Gesù riporta il discorso al presente: la risurrezione non è un concetto astratto legato ad una prospettiva futura, è una persona, è lui che sta parlando, è un’esperienza che può fare oggi chiunque vive e crede in me. La fede (crede in me) è strettamente unita a un modo di vivere (vive… in me), diverso da chi vive solo per se stesso.
8) Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi: è interessante la piega che prende il racconto con l’entrata in scena di Maria, che si alza prontamente alla chiamata del Maestro. Maria parte dalle stesse parole (Signore, se tu fossi stato qui…), ma non aggiunge altro e piange ai piedi Gesù. È la stessa testimonianza di fede di Marta che prende la forma della risposta nuziale all’arrivo dello sposo, quella di una umanità segnata dalla esperienza dalla morte ma già illuminata dalla presenza di chi è venuto per riscattarla.
9) Gesù… si commosse profondamente: il verbo usato dal testo è molto più forte, esprime un fremito che scuote. C’è un crescendo nell’emozione del Signore: molto turbato… scoppiò in pianto. Non c’è in tutti i vangeli una testimonianza così forte dei sentimenti di Gesù ed è una rivelazione altissima di come sia il cuore di Dio. Il padre di Gesù non ha niente da spartire con gli dèi lontani e impassibili delle religioni.
10) Si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra: è evidente il richiamo alla tomba di Gesù e si sottolinea la chiusura del sepolcro, segno della severità della condizione di soggezione al potere della morte della vita dell’uomo. La reazione inorridita di Marta al comando del Signore “togliete la pietra” testimonia la profondità dei sentimenti di paura e di assoggettamento alla morte nel cuore di ogni uomo.
11) Gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori: dunque la parola di Gesù ha il potere di liberare Lazzaro dai lacci della morte, così vivamente rappresentati dalle bende che legano le mani e i piedi di Lazzaro. È interessante che alla fine il Signore chiami qualcuno a completare la sua opera “liberatelo”, segno di quei discepoli che avranno il compito di portare questo annunzio della liberazione da potere della morte a tutte le genti.
Ezechiele 37,12-14
12Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele.
13Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. 14Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”».
Oracolo del Signore Dio.
1) Perciò profetizza e annuncia loro…: questa profezia di Ezechiele è rivolta a tutta la casa di Israele (v 11) nel momento più drammatico e tragico della sua storia, quando anche Gerusalemme è stata distrutta (Ez 33,21-22). Israele aveva reso “impura” la sua terra con la sua condotta e le sue azioni idolatriche. Per questo era stato punito con l’Esilio ma ora Dio lo libererà da tutti i suoi idoli donandogli un cuore nuovo e una vita nuova (cfr. Ez 36,25-28). Il fine della profezia è quindi la consolazione e la speranza.
2) Così dice il Signore Dio (v 12a); cfr. anche al versetto 14: «…L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio: sono l’inizio e la fine della profezia di Ezechiele. Con queste formule solenni il Signore impegna se stesso al compimento di quanto detto. Infatti Egli perdona il suo popolo non certo a motivo della (vergognosa) condotta d’Israele ma per pura misericordia e per amore del Suo nome santo (cfr. Ez 36,22). Dio è fedele alla sua Parola e non si contraddice.
3) Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire [lett. salire] dalle vostre tombe: “sepolcri” e “tombe” sono la medesima parola ebraica sia in questo versetto sia nel successivo. Questa precisazione può semplificare e facilitare la comprensione del testo e così possiamo concentrare la nostra attenzione sulle due espressioni “io apro i vostri sepolcri” e “vi faccio uscire dalle vostre tombe”. Entrambe le espressioni sono ben raffigurate e commentate dall’icona della Resurrezione tipica della tradizione orientale. In essa è Cristo che, risorgendo dai morti, scardina e attraversa le porte degli inferi. Nel salire verso l’alto il Signore solleva Adamo ed Eva liberandoli dalla Morte. E in effetti la seconda espressione (vi faccio uscire) traduce l’ebraico salire.
4) …o popolo mio,…: è un’espressione di affetto che viene ripetuta al v 13. (Cfr. Os 11,1.4b.a.8c: Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio… mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Come potrei abbandonarti, Èfraim, come consegnarti ad altri, Israele?… Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione).
5) … e vi riconduco nella terra d’Israele (v 12b)… vi farò riposare nella vostra terra: (v 14b): la resurrezione interiore del popolo, la sua rinascita alla speranza e alla fiducia, ha un riscontro storico, visibile e verificabile, nel ritorno dall’esilio. Questa parola non è solo profezia del ritorno dei deportati dall’esilio, è anche promessa di un nuovo esodo in cui il popolo entrerà nella terra d’Israele purificata dal peccato che l’aveva profanata come pegno ed annunzio della risurrezione dai morti che inaugurerà il mondo futuro. È un brano messianico, cioè parla dei tempi nuovi legati alla venuta del Messia.
6) Riconoscerete che io sono il Signore, (v 13a)… Saprete che io sono il Signore (v 14c): in tutti i due i casi il verbo è il medesimo, avente come significato letterale: Conoscerete. Questa formula, tipica di Ezechiele (ricorre molte volte nel suo libro), indica il rivelarsi della gloria e santità di Dio. Questa rivelazione qui avviene nell’esperienza della risurrezione.
7) Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete (lett. e vivrete): sembra che non si parli di un “ritorno” in vita, come fosse un ritorno alla vita data ad Adamo (cfr. Gen 2,7) ma di una nuova vita. L’apostolo Paolo può chiarire questo passo quando in 1Cor 15,45 stabilisce un confronto tra Cristo e Adamo. Il primo Adamo dà origine a una discendenza terrena e mortale; l’ultimo Adamo, cioè Cristo, è capostipite di una umanità celeste e immortale, perché egli è Spirito datore di vita.
Romani 8,8-11
Fratelli, 8quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio.
9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
10Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. 11E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
1) Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio: l’amore di Dio per ogni uomo si è manifestato nel fare assumere al suo Figlio una carne simile alla nostra carne. Non è però sufficiente dire questo se non si aggiunge che il vivere nella carne di Gesù è l’offerta totale di se stesso per la vita del mondo. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Gv 6,51). Fare, come Gesù ha fatto (in memoria di Lui), è il modo nuovo di essere, con la nostra carne, uno strumento dello Spirito di Dio.
2) Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello spirito, dal momento, che lo Spirito di Dio abita in voi: c’è una specie di scambio che Dio fa a nostro favore. Con il battesimo questo scambio è diventato un legame inscindibile, per cui non è più possibile essere come prima: non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito abita in voi? (1Cor 3,16). Ne consegue che in Cristo nessuno appartiene a se stesso, ma è in profonda comunione con Lui.
3) Ora se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia: il corpo senza lo Spirito muore a causa del peccato, ma per merito della giustizia di Dio, Spirito e corpo sono uniti insieme e possiamo riconoscere l’opera di Giustizia e di amore di Dio: Elisabetta fu colmata di Spirito santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne (Lc 1,41)… Il mio Spirito esulta in Dio mio Salvatore (Lc 1,47).
4) Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali: Dio non vuole che il nostro corpo vada perduto. Come non ha abbandonato Gesù alla morte, così sarà per noi: per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione (Sal 15,9ss.).
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
Come punto di partenza per qualche riflessione prendo un testo che non è tra quelli di questa domenica: Ebrei 2,14-15. Dice che Gesù è venuto “per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita”. Abbiamo bisogno di essere liberati da questa paura che imprigiona tutta la nostra vita. Ne hanno bisogno anche quelli che dicono di non aver paura della morte, e che puntualmente fanno vedere che anch’essi sono prigionieri della paura che dicono di non avere, e che riversano in atteggiamenti che sono il frutto di questa paura, quali la violenza, l’idolatria del potere, l’affezione idolatrica per la Legge, ma anche il farisaismo etico, lo scrupolo della coscienza, l’amore di patria, i fioretti, la sete di conseguire indulgenze, il voler sempre aver già capito tutto… perché sono moltissimi i segni di questa paura!
La prima affermazione forte che noi troviamo nel testo di Lazzaro, e che, riferita a lui, ha di fatto una portata universale, è che questa umanità è malata, è mortalmente malata. E, così com’è, è amata! L’esperienza dell’amore come essere amati è il primo grande antidoto alla paura della morte. Si coglie questo anche in un bambino molto piccolo che non sopporta di essere separato dalle braccia che lo avvolgono e dentro alle quali vuole assolutamente vivere. È una specie di cordone ombelicale che ad un certo punto deve essere tagliato. Ma con molta e attenta prudenza, quando è bene che le braccia materne possano essere meno essenziali perché accompagnate da altri segni di amore. Tutto questo costruisce nella persona l’intima certezza di essere un “risuscitato da morte”, cioè di essere un “salvato”: l’interpretazione fondamentale della vita diventa allora quella di una potenza che ci ha presi per mano e ci ha portato fuori dalla morte. Morte che ha mille volti: dalla paura all’angoscia, dalla sconfitta alla malattia, dalla solitudine alla fame, alla sete, alla solitudine…
Accade qualcosa, che per il credente è la mano di Dio, che mi tira fuori dal mio sepolcro, come ascoltiamo dal profeta Ezechiele. Questo passaggio è molto delicato perché il tipo di società nel quale viviamo suggerisce una cultura – o una sottocultura – di segno opposto: abbiamo “diritto” a tutto; siamo nella possibilità di fare e di avere quasi tutto. Per questo l’attenzione della persona è attratta verso quello che non si deve perdere, compresa la salute che significativamente da noi è diventata “il diritto alla salute”, che è dizione abbastanza comica, anche se la si può spiegare bene. La nostra inevitabile cultura leghista guarda con preoccupazione anche ad una faccia un po’ diversa dal solito perché è già minaccia che ci sia tolto qualcosa di nostro. Questo mette in evidenza che la sapienza ebraico-cristiana è sapienza dei poveri e del povero, che ha poco da perdere e che spera di molto ricevere.
Ci sono tante altre cose che bisognerebbe dire, e soprattutto che bisognerebbe sapere, ma io so poco. Dico che il frutto supremo della nostra sapienza intorno al tema della morte, è il suo radicale “cambiar nome”, per cui non è più “morte”, ma “spesa della vita”. Se io sono un “risorto da morte”, che cos’è per me quell’evento che si chiama “morte”? Essendo risorto non si deve morire – e cioè ricadere nell’antica paura – ma si deve “dare la vita”. Dare la vita è come morire ogni giorno. Così si vive quello che della vita è il senso e lo scopo. È peraltro l’evento che ci consente di essere vivi, oggi. Lo siamo perché qualcuno, anzi molti, ci hanno dato la vita. Il pensiero che Gesù è morto, cioè ha dato la vita, mi attira: piacerebbe anche a me fare come Lui. Ma tale è per me la morte dei miei genitori. La morte dei nostri bambini piccoli. La morte della nostra sorella Maria. La morte di Enrico. Della Claudia. Dei malati di AIDS della Casa della Costanza. Dei bambini di Gaza e di quelli del barcone nel Mediterraneo… Quando la paura della morte arretra, si può cantare insieme a Francesco d’Assisi: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare: Guai a quelli ke morrano ne la peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le Tue sanctissime voluntati. ka la morte secunda no’l farrà male”.