21 Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. 22 Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. 23 Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; 24 ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo.
Seleziona Pagina
La Parola che oggi il Signore ci regala nella testimonianza di Paolo rivela e comunica la realtà di una comunione con Dio luminosa e piena. Al punto che lo stacco e il passaggio tra la vita terrena, che Paolo esprime con i termini “vivere nella carne”(ver.22), dove in italiano è detto “vivere nel corpo”, e la condizione dopo la morte fisica che egli chiama “essere con Cristo”(ver.23) è talmente ridotto da provocare in lui la conclusione “non so davvero che cosa scegliere”: non perchè stia a lui questa scelta, ma perchè solo il Signore può stabilire tempi e modi di un passaggio che Paolo coglie e vive nella pace della sua piena comunione con Gesù Cristo, comunione che con la morte non può avere che “un guadagno” ulteriore (ver.21)!
Mi sembra che il “segreto” della sua pace interiore stia nella realtà di una vita totalmente immersa e offerta al Signore. Questa offerta è la pienezza della carità. E’ la pienezza della consacrazione della vita al mistero dell’Amore. E siccome l’Amore di Dio non è scindibile dall’Amore del prossimo, Paolo arriva alla conclusione secondo la quale “per voi è più necessario che io rimanga nel corpo”. E qui si pone un quesito: questo giudizio è particolare e speciale data la vicenda dei Filippesi e quello che in quel momento Paolo vive con loro e per loro? Penso che in realtà la consegna piena al Signore porti all’accettazione e all’attenzione suprema al “presente” del tempo che ci è dato. Quello che conta è vivere tale “presente” con la radicalità di un’offerta senza limiti capace di non lasciarsi “sorprendere” neppure dalla morte proprio per la totalità di quell’offerta della vita nel mistero dell’Amore. Scusate le parole confuse e disordinate. Cito la vicenda di un bambino che si chiamava – e si chiama – Luigi Gonzaga, un bambino nato nel paese di campagna della mia fanciullezza. Sua madre era una marchesa spagnola forse un po’ vessante. Gli domanda, mentre lui sta giocando a palla – Luigi ha sei anni! – che cosa farebbe se venisse a sapere che morirà tra un’ora. Il bambino risponde: “Continuerei a giocare a palla”. E’ bello pensare che stiamo vivendo tanto bene anche un momento semplice come quello in cui giochiamo a palla, che non c’è atteggiamento e gesto che debba superarlo e interromperlo! Spero che l’episodietto della vita di S.Luigi Gonzaga chiarisca il senso delle mie arruffate parole scritte prima.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Eccoci oggi davanti a una di quelle frasi lapidarie, che sono disseminate nelle lettere di Paolo: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (v.21). Le note precisano che quel “vivere è Cristo” non è da intendere tanto in chiave mistica, ma in chiave apostolica. Cristo è la pienezza di vita, che colma l’apostolo e vuole essere estesa ai credenti in Lui. “Essere con Cristo”, essere uniti a Lui, è realtà di oggi nei semplici gesti e affetti quotidiani ed è il coronamento felice di tutto.