1 Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, 2 con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, 3 cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. 4 Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; 5 un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. 6 Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

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Paolo passa ad una esortazione; il verbo è forte: “Vi scongiuro”, e il suo stato di “prigioniero” rafforza la sua richiesta: comportarsi in modo armonico con la grande chiamata ricevuta. Un comportamento umile, mansueto, di pazienza nelle relazioni con gli altri…, conservando l’unità dello spirito, cioè quella comunione profonda che è garantita dal vincolo della pace (quel vincolo è la pace stessa). Paolo introduce poi una di quelle mirabili sintesi dottrinali che ogni volta ci stupiscono: un inno alla unità dei credenti nell’unità del Padre… Mi piace sottolineare quelle parole conclusive. “un solo Dio e Padre… che opera in tutti ed è in tutti”. Siamo associati, dunque, alla sua attività, al suo operare; è con noi e in noi.
“Vi esorto”(ver.1). Dopo la grande esposizione dei tre primi capitoli della Lettera, nei quali ci è stato annunciato il disegno salvifico di Dio nel suo Cristo, disegno consegnato ai padri ebrei nella Prima Alleanza e portato a compimento in Cristo per tutte le genti, cioè per l’intera umanità, ora inizia appunto la grande esortazione, e cioè quella via della sapienza e dell’obbedienza che consente di cogliere, di accogliere e di far fiorire il dono di Dio in ogni persona, nella comunità ecclesiale e verso tutti i popoli.
Paolo si qualifica come “il prigioniero nel Signore”, come in Ef.3,1 si era detto “il prigioniero di Cristo per voi gentili..”. Il termine mi sembra di grande rilievo proprio per il tema fondamentale che viene introdotto dal nostro brano di oggi e che ci accompagnerà sino alla fine. Per tutto quello che ci è stato rivelato della Chiesa, cioè della nuova comunità messianica, come incontro e partecipazione di giudei e pagani nel mistero di comunione che scaturisce dalla croce del Signore, il cuore dell’etica che ne scaturisce sarà in modo forte l’amore che unisce realtà diverse che in Cristo, la nostra pace, convergeranno e nell’amore si custodiranno.
Si tratta infatti, rendo alla lettera, “di camminare in maniera degna della vocazione con la quale siete sati chiamati”. Dunque, la chiamata da parte di Dio, e il nostro metterci in cammino per questa nuova via che la misericordia del Padre ha aperto per noi. In tal senso quel “comportarvi” della versione italiana è più rigido e più statico rispetto al termine usato da Paolo, e cioè il “camminare”, che indica appunto una progressione, una strada nella quale camminiamo e nella quale non si tratta di essere dentro o fuori, ma nella quale ognuno è stato chiamato e, appunto, sta procedendo; non siamo arrivati alla fine, ma siamo partiti.
Colpisce al ver.2 che la prima virtù necessaria per questa strada sia l’umiltà. Qui Paolo usa un termine ricco che gli è consentito dalla vasta terminologia della lingua greca del suo tempo. Il significato del termine è primariamente quello di “umiliazione”, ed è in questo senso che Maria lo usa nel Magnificat quando dice che Dio ha guardato all’ “umiliazione”, alla condizione misera della sua serva, alla sua piccolezza. Qui il termine è arricchito da una nota sapienziale e lo si può intendere appunto come una “sapienza dell’umiliazione”, e quindi forse come l’atteggiamento di chi vive la sua piccolezza, la sua miseria, come “umiltà”. E’ dunque il momento in cui l’umiliazione diventa umiltà. E’ fare della propria piccolezza un principio fecondo di umiltà. Si potrebbe dire in qualche modo che un problema – appunto i propri limiti – diventa un’opportunità. Il principio dell’accoglienza reciproca non è una superiore tolleranza, ma il bisogno l’uno dell’altro! Questo trascina con sè la preziosità degli altri due termini, “mansuetudine e pazienza”, che tale è la prova inevitabile e preziosa dell’accoglienza dell’altro, del diverso da me. “..sopportandovi a vicenda con amore” dice ancora il ver.2, e qui la richiesta passa certamente attraverso una prova di sopportazione,e quindi di fatica.
“..cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace” dice il ver.3. Mi piace anche qui sottolineare la versione più letterale del testo che sarebbe:”..solleciti nell’osservare l’unità dello spirito..”, dove quel solleciti rende efficacemente il senso della “risposta” a qualcosa che è accaduto, che abbiamo ricevuto. Come Maria in Luca 1, che, ricevuto l’annuncio dell’Angelo, in fretta si alza e si reca da Elisabetta. E mi sembra bello precisare il significato del “conservare” usato dalla versione italiana, con il più dinamico termine “osservare”, che evita si pensi alla semplice “conservazione” di un dato acquisito, ma all’incessante e amorevole e vigilante custodia di una realtà viva che sempre si dilata, presentandosi a ciascuno come sempre nuova. E propone una garanzia a questa custodia dell’unità dello spirito, ed è il “legame”, il vincolo appunto, della pace. Ma siccome, come sappiamo, la nostra pace è il Signore Gesù, è a Lui che chiediamo di custodirci tutti, come Paolo, nella sua dolce prigionìa.
La seconda parte del nostro testo gioca con il termine dell’unità. Anche qui si può notare che la povertà della nostra lingua non consente di sottolineare le finezze di significato dei vari termini che Paolo usa per indicare l’unità divina alla quale siamo tutti chiamati. Il significato globale dei vers.4-6 è il rapporto e la tensione tra l’unità del mistero divino, della comunione trinitaria, potremmo forse aggiungere noi, e la sconfinata diversità di coloro che sono chiamati, giudei e pagani, diversità che è si rende presente in ogni persona. Ma tutti questi “diversi” sono convocati nella stessa realtà divina. La diversità, che mondanamente viene vissuta sempre come estraneità e quindi facilmente come inimicizia, diversità che giustifica violenza, guerra, privazione della libertà, odio e uccisione, misfatti di ogni tipo, in nome di un diritto o di un potere totalizzante, sia esso culturale, politico, spirituale, religioso, razziale…, tale diversità viene “sequestrata” da Dio, che rivendica per Sè solo il diritto all’unità! Ma lo fa in modo capovolto rispetto alle pretese sacrali e imperiali dell’umanità ferita e decaduta. Riposiamo oggi – e glorifichiamo Dio – nella meraviglia del ver.6! Qual’è il volto e il modo dell’unità di Dio? Egli è “il Padre di tutti”: questa è la relazione d’amore fondamentale che Egli stabilisce tra Sè e l’intera umanità, con ogni donna e uomo del mondo. Egli è “al di sopra di tutti”: questo è l’abbattimento di ogni idolo di potere, economico, culturale, politico, spirituale, religioso, e quindi la liberazione-libertà della nuova creatura, riscattata dal regno del male e della morte. Egli “agisce per mezzo di tutti”: non ci sono destinatari privilegiati o “sacerdoti” con incarichi asclusivi, perchè la stessa Parola e lo stesso Spirito guidano il cammino della storia, e nessuna autorità anche “autorizzata” è legittima se non è subordinata rigorosamente alla sua Parola e al suo Spirito. Egli infine, “è presente in tutti”: nessuno, anche chi apparentemente vive e cammina più lontano da Lui, è totalmente privo di Lui. E quello che di Lui a ciascuno manca diventa il silenzioso grido che ogni persona grida come diritto ad essere visitato a accolto da chi con più abbondanza ha già ricevuto il dono che Dio vuol far giungere a tutti i suoi figli.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“sopportandovi con amore”
a prima vista, avverto qualcosa che stona…come è possibile sopportare con amore? La sopportazione è qualcosa di pesante, faticoso, opprimente, quasi un obbligo, l’amore è qualcosa di leggero, bello, liberante, gioiso… eppure Paolo ci invita a sopportarci a vicenda con amore… credo che questo invito si possa solo comprendere in uno spirito diverso da quello del mondo, dove la sopportazione ha connotazioni negative…si sopporta quando non si può fare diversamente, quando la sorte, il dolore, la malattia, sono qualcosa a cui si vorrebbe poter rinunciare… invece nello Spirito nuovo del Signore, quel “sopportarsi con amore” è stravolto…un concetto totalmente nuovo per la mentalità del mondo…
ci leggo la tolleranza, il dilogo, il rispetto, l’accoglienza, l’apertura, il bisogno della relazione anche nelle difficoltà, la sofferenza positiva per il raggiungimento di una unità di intenti, per un Amore che è oltre l’umano. Accogliersi anche nelle difficoltà; forse proprio le difficoltà ci possono rafforzare e farci crescere verso un abbraccio che è più grande, più dolce, più prezioso, di quanto la nostra piccola mente possa comprendere.
Scusate i pensieri contorti, ma questa “provocazione” di Paolo sento che è dentro la mia vita!
Camminiamo in maniera degna della vocazione alla quale siamo stati chiamati. Come? “con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza”. Non sono virtù astratte. Non sono un invito alla passività. Sono lo stile di Gesù. “imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Umiltà come consapevolezza del mistero dell’incarnazione, della parola di Dio che è discesa fin nella mia povertà e impotenza, per rendermi terreno fecondo di vita. Così anche noi possiamo essere umili, essere “humus”, essere terra, ma terra feconda di vita per gli altri, proprio perché da Gesù siamo stati fecondati. Mansuetudine o mitezza. Come Gesù non rispondiamo alla violenza e all’offesa con la stessa moneta. Ma siamo chiamati a prenderla su di noi, ad assumerla, a portarla, a trasformare il male ricevuto in energia positiva di bene e di riconciliazione. Pazienza. Dare sempre all’altro un’altra occasione. Come noi riceviamo sempre un’altra occasione. Ognuno di noi, tutti, diversi, amati, chiamati, per costruire un solo corpo nell’armonia infinita della diversità.
Ciao, ti ho preso il commento di Giovanni Nicolini a ad Efesini, per il mio Blog “la pagina di San Paolo”, spero non ti dispiaccia, Gabriella