7 Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. 8Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì 9e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, 10essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek.

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Mi è sembrato centrale oggi il tema dell’obbedienza. Obbedienza di Gesù al Padre e obbedienza dell’uomo a Gesù.
Obbedire,ascoltare..sono in questo caso,guardando le concordanze,la stessa parola. Un ascolto obbediente..un’obbedienza ascoltante..
Senza l’obbedienza sembra di capire che l’ascolto è tempo sprecato. Come qualche giorno fa Paolo esortava ‘bisogna che ci dedichiamo con maggiore impegno alle cose che abbiamo ascoltato’ Eb 2,1.
Personalmente mi rimangono almeno due problemi:
– il problema,spesso, di capire nelle svolte,nelle situazioni,a quale linea obbedire. Se non è chiaro il pensiero di Dio in merito, o non si è capaci di coglierlo,a cosa si obbedisce?
Gesù nel Getsemani,in Mt,chiede tre volte ‘Padre mio,se è possibile passi via da me questo calice!Però non come voglio io ma come vuoi tu’. La risposta non c’è in forma verbale ma è Giuda che sembre rispondere e,mentre Gesù sta ancora parlando,arriva con la folla,le spade e i bastoni. L’urgenza della storia in quel caso è la risposta di Dio alla richiesta di Gesù?
Questo forse può valere anche per la nostra vita nelle sue concretezze e obbedienze relative?
– l’altro problema riguarda la difficoltà,per me,di obbedire. Sempre Gesù oggi afferma ‘Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore,e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero’.
E’ anche questo la salvezza eterna di cui si parla al v.9?
Ascoltiamo nel primo v. del brano di oggi: “Nei giorni della sua vita terrena Gesù offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime..” Si deve intendere che si riferisca ai giorni della sua passione soprattutto alla preghiera e all’agonia dell’orto del Getsemani. Ma si può anhce intendere che l’autore degli Ebrei vuole indicare ciò che Gesù fece in tutti i giorni della sua vita terrena. Perché si rese simile in tutto a noi uomini, fino ad essere mortale. Ma, diversamente da noi, che “per paura della morte rimaniamo schiavi per tutta la nostra vita”, Gesù ha supplicato Dio tutti i giorni della sua vita. E così il suo modo di pensare, di fare, era sempre secondo Dio, e nella fede in Dio Padre che lo poteva salvare dalla morte.
” e per il suo pieno abbandono a Dio, venne esaudito”; e nello stesso tempo “impara l’obbedienza da ciò che patì”. Forse Gesù aveva ancora qualche cosa da imparare? O è detto per noi? Imparò da ciò che patì. Anche la nostra vita in Gesù è questo progredire nell’ascolto, che poi si fa supplica che viene ascoltata da Dio e poi impariamo a pazientare in Gesù in ciò cha patiamo imparando ad obbedire ed aderire sempre più con fede alla volontà del Padre.
Giovanni Paolo
1) Penso che il passaggio “per il suo pieno abbandono a Lui venne esaudito” si potrebbe tradurre anche in modo diverso: “venne esaudito dalla pietà” (riferito naturalmente alla pietà del Padre, cioè la “buona accoglienza” del Padre nei confronti del Figlio)
2)Mi colpisce e mi piace questo: si dice che Gesù “venne esaudito” senza fare menzione esplicita alla resurrezione. Mi pare che l’esaudimento avvenga già nel fatto che anche nella morte si compie la comunione piena tra Padre e Figlio così come noi moriamo con Gesù e in Gesù e Lui muore con noi e in noi……la resurrezione è la manifestazione necessaria e diretta di questa redenzione della morte.
Giovanni Paolo
1) Penso che il passaggio “per il suo pieno abbandono a Lui venne esaudito” si potrebbe tradurre anche in modo diverso: “venne esaudito dalla pietà” (riferito naturalmente alla pietà del Padre, cioè la “buona accoglienza” del Padre nei confronti del Figlio)
2)Mi colpisce e mi piace questo: si dice che Gesù “venne esaudito” senza fare menzione esplicita alla resurrezione. Mi pare che l’esaudimento avvenga già nel fatto che anche nella morte si compie la comunione piena tra Padre e Figlio così come noi moriamo con Gesù e in Gesù e Lui muore con noi e in noi……la resurrezione è la manifestazione necessaria e diretta di questa redenzione della morte.
Premetto che, a motivo della mia poca fede, la meravigliosa Parola che oggi riceviamo dalla bontà di Dio mi intimorisce, anche perché mi è nata nel cuore una lettura del testo che mai avevo incontrato prima. Come sempre, voi prendete con molta prudenza quello che provo a scrivere.
L’espressione “nei giorni della sua vita terrena” al ver.7, è, alla lettera “nei giorni della sua carne”, dove il termine “carne”, esprimendo tutta la debolezza della condizione umana che Gesù assume fino in fondo, proprio per questo assume una straordinaria nota di bellezza e di grandezza, come a dire che questo è ora “il tempio di Dio”, il luogo della sua presenza.
E ora tutta la passione e morte del Signore viene interpretata come una grande divina liturgia! A partire da quell’ “offrì” che perde in italiano un po’ della sua forza originaria, dato che nel testo originale è un “offrendo” che sfocia nel verbo principale, che è “venne esaudito per il suo pieno abbandono”. Provo a spiegarmi. Gesù ha trasformato, o meglio ha trasfigurato la sua sofferenza in una grande liturgia! Egli “con forti grida e lacrime” – espressione che dice il dramma terribile della sua passione – Egli “offre” – il verbo è quello proprio dell’offerta cultuale, dell’offerta della vittima! – preghiere e suppliche. E che cosa chiede in quelle “preghiere e suppliche”? Chiede di essere “salvato dalla morte”! E qui ci incontriamo con l’apice del testo, con la stupefacente affermazione “venne esaudito”! Ma come è stato esaudito? Gesù è morto! Dunque, come esaudito? Lo è stato perché in realtà Gesù non “è morto”, ma è stato “offerto” al Padre, ha offerto se stesso al Padre. Questo è quanto oggi trovo nella mia povera preghiera. In Gesù e con Gesù la morte scompare diventando “offerta al Padre”!
Il ver.8 sviluppa ulteriormente l’affermazione dicendo non che essendo obbediente accettò di patire, ma che “imparò l’obbedienza” dalla sua passione. Quindi, con Gesù e in Gesù la prova del dolore, il dramma della sofferenza umana, diventano scuola di obbedienza a Dio. Il dato tremendamente concreto della sofferenza diventa scuola spirituale di obbedienza a Dio. E noi, e la nostra povera umanità, se obbediamo a Gesù, cioè se lo seguiamo nella sua via di Pasqua, se uniamo la nostra piccola vita alla sua offerta al Padre, entriamo con Lui e per Lui nella salvezza.
Per questo, Gesù viene proclamato da Dio “sommo sacerdote secondo l’ordine di Mechisedek”, e non secondo il sacerdozio di Aronne, come, se il Signore vorrà, ascolteremo e vedremo nel seguito della Lettera.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Forse può essere utile questo passaggio tratto da “Noi delle strade” di Madeleine Delbrêl:
Stefano
L’obbedienza
Noialtri, gente della strada, sappiamo benissimo che sino a quando la nostra volontà sarà viva non potremo amare davvero il Cristo.
Noi sappiamo che solo l’obbedienza potrà fondarci in questa morte.
E invidieremmo i nostri fratelli religiosi se non riuscissimo anche noi a morire, ogni istante, un po’ di più.
Le piccole circostanze della vita sono dei «superiori» fedeli. Non ci lasciano un attimo, ed i «sì» che dobbiamo dir loro si succedono gli uni agli altri.
Quando ci si abbandona ad esse senza resistenza, ci si ritrova meravigliosamente liberati da se stessi. Si galleggia nella Provvidenza come un turacciolo di sughero nell’acqua.
E non facciamo gli orgogliosi: Dio non affida nulla al caso; le pulsazioni della nostra vita sono sconfinate, perché egli le ha volute tutte.
Ci afferrano dall’attimo del risveglio. Il trillo del telefono. La chiave che gira male nella toppa. L’autobus che non arriva, che è zeppo, o che se ne va senza aspettarci. Il nostro vicino di sedile che occupa tutto il posto, o il vetro che vibra fino a stordirci.
È, ancora, l’ingranaggio della giornata: una pratica che ne chiama un’altra, un certo lavoro che non abbiamo scelto.
È il tempo con le sue variazioni raffinate perché assolutamente pure da ogni volontà umana. È l’avere freddo o avere caldo, l’emicrania o il mal di denti. La gente che si incontra. Le conversazioni che i nostri interlocutori scelgono. Il signore maleducato che ci urta sul marciapiede. Le persone che hanno voglia di perdere tempo e che ci acchiappano.
L’obbedienza, per noi, gente della strada, è piegarci alle manie della nostra epoca quando sono senza malizia. È avere i vestiti di tutti, le abitudini di tutti, il linguaggio di tutti.
È, quando si vive in parecchi, dimenticare di avere un gusto e lasciar le cose al posto che gli altri han dato loro. L’esistenza diventa così una specie di grande film al rallentatore. Non ci dà la vertigine. Non ci fa ansimare. Corrode a poco a poco, fibra per fibra, la trama dell’uomo vecchio, una trama non più raccomandabile e che bisogna rinnovare totalmente. Quando ci saremo abituati a consegnare la nostra volontà all’arbitrio di tante piccole cose, non troveremo più difficile, all’occasione, fare la volontà del nostro caposervizio, di nostro marito, dei nostri genitori.
Allora possiamo sperare che ci sia facile anche la morte. Non sarà una cosa grande, ma una successione di piccole sofferenze ordinarie accettate una dopo l’altra.