26 Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. 27 Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. 28 Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. 29 Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. 30 Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. 31 La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.
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La Parola di Dio oggi in certo senso “ci costringe” a prendere atto e ad accettare il “commento” che conclude il nostro brano al ver.31: “La Chiesa era dunque in pace…”. Non sarebbe forse questo il nostro commento istintivo a quello che abbiamo ascoltato e stiamo ascoltando in questi giorni! Mi chiedo dunque insieme a voi se non ci è richiesto di accettare che la pace della Chiesa sia come quella barca sul mare in tempesta, dove Gesù, in mezzo alla paura e all’angoscia dei discepoli, dorme! (Matteo 8, 24). Se è così, dobbiamo accettare che la presenza di Gesù che dorme è potenza di pace superiore ad ogni bufera.
Certamente questi inizi della missione apostolica di Saulo sono piuttosto mossi. Lo abbiamo visto a Damasco, e ora lo troviamo a Gerusalemme. Certamente è di rilievo la fama che Saulo si è acquistato con tutto il suo percorso precedente. I discepoli – tutti! – hanno paura di lui e non credono alla sua conversione. L’intervento di Barnaba e il riferimento agli apostoli – chissà se ha raccontato anche della fuga nella cesta – mettono pace, e trovano un posto per lui non solo tra i discepoli, ma anche tra coloro che annunciano il Vangelo del Signore.
Ma al ver.29 si apre un nuovo problema, per il quale dico subito che non sono sicuro di capirne i motivi. La disputa nasce con “quelli di lingua greca” (alla lettera, “gli ellenisti”), che sembrano essere discepoli di Gesù provenienti da quel giudaismo della diaspora che parlava greco. Se è così, non mi è semplice capire perchè proprio loro si oppongono a colui che si affermerà sempre più come l’apostolo dei gentili, e che per questo dovrà affrontare continue persecuzioni e pericoli di morte. Accolgo volentieri i suggerimenti che vorrete mandarmi.Certo, potrebbe darsi che questi ebrei “greci” fossero ancor più attaccati alle tradizioni mosaiche, proprio per la fatica di non lasciarsi “assimilare” da altre culture e da altre spiritualità. Di fatto, la situazione convince i cristiani di Gerusalemme di far uscire Saulo dal territorio, e addirittura di rimandarlo al suo paese!
Con tutto questo, come dicevamo, gli Atti affermano che “la Chiesa era in pace”!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
nel passo di oggi mi colpisce il versetto 26;come si è accolti da gli altri e come io(o forse noi) accogliamo gli altri.Personalmente
ho notato che la accoglienza da parte di altri quando è basata su molte cose mondane è sempre problematica e non soddisfacente,la stessa cosa accade per accoglienza da parte mia verso altri.Io credo (o meglio vorrei fortemente e sinceramente credere) che solo se
tutta la nostra vita è diretta dagli insegnameneti evangelici possono attenuarsi le due difficoltà sopra accennate,naturalmente sapendo che sarà il Signore con le sue grazie a farci superare le nostre paure ed a permetterci di sperimentare la gioia reciproca che la conoscenza di qualsiasi altra persona deve provocare (siamo fratelli ,soprattutto lo siamo in Cristo) .
Il v. 31 mostra la relazione intima tra il timore del Signore e la pace, come già si era visto al cap. 2.,Anche la paura riguardo a Saulo si scioglie, grazie alla mediazione di Barnaba, nel riconoscimento della sua partecipazione alla comune condizione di discepoli/timorati del Signore. Predica nel nome di Gesù/del Signore. Negli Atti tutti gli aspetti della vita di Paolo e degli altri discepoli, e specie la predicazione, sono sempre presentati come “nel nome del Signore”. “con coraggio” Vedi Efesini 6:18-19: “pregando anche per me perchè quando apro la bocca mi sia data una parola franca per fare conoscere il mistero del Vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza, come è mio dovere”. In questi primi passi di Paolo nella sequela di Gesù, colpisce come le minacce di morte insieme alla premura dei fratelli lo portino a un viaggio di ritorno e di rivisitazione dei suoi luoghi di origine spirituale e umana: Gerusalemme e Tarso. Nei testi di questi giorni, sembra che nella vita della comunità dei credenti nulla ancora traspare di quel punto decisivo del piano di Dio che è l’accesso pieno delle genti alla stessa fede. La chiesa è presentata in pace in Giudea, Samaria e galilea. Lo stesso Paolo, a differenza di quella che sarà la sua successiva memoria, non è presentato qui come consapevole di quello che sarà il suo mandato alle genti. Il suo invio a Tarso, dove sembra sia rimasto a lungo, appare più come una sospensione, un tempo di attesa. Tutto appare come in attesa di quella “rivoluzione” che la volontà di Dio con forza esprimerà e guiderà nei prossimi capitoli.