Le letture di domenica prossima 6 Maggio 2012,
V domenica di Pasqua, sono:
At 9,26-31 Sal 21 1Gv 3,18-24 Gv 15,1-8
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Giovanni 15, 1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.

4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.

7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

1) Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore: nell’AT la vigna è immagine di Israele in rapporto con il Dio dell’alleanza, con il contrasto tra la cura amorosa del padrone per la sua vigna e la delusione per i frutti: egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate… egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. (Is 5,2). Nei sinottici, la parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-44 e par.) segue uno schema simile: i contadini malvagi verranno sostituiti da altri che ne ricaveranno i frutti aspettati. Qui Gesù si presenta come la vera vite; l’aggettivo “vera” suggerisce una rivelazione definitiva di quanto predetto nell’AT. Il Padre è l’agricoltore, visto nell’atto più critico della cura della vite ai fini della futura produzione di uva, la potatura dei tralci.

2) Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto: si aggiunge un terzo elemento (i tralci) ai due già annunciati (il Padre-agricoltore, Gesù-vera vite). I tralci portano il frutto, non però come loro capacità autonoma.

3) Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato: i discepoli sono stati già “potati” dalla parola di Gesù. La purificazione generata dalla parola detta da Gesù è come tagliare via dal cuore del discepolo quello che non serve, che non è essenziale.

4) Rimanete in me e io in voi: è facile capire l’esortazione ai discepoli rimanete in me. È meno chiaro il senso dell’io in voi: in qualche modo Gesù adombra una fusione tra lui e il discepolo, una sua volontà di comunicarsi profondamente a chi innesta la sua vita su quella del Signore.

5) Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me: viene introdotto in modo esplicito il parallelo tra l’immagine tralcio-vite e discepolo-Gesù.

6) Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto: il legame con la vite è la condizione per portare frutto, ma la potatura dei tralci è essenziale per realizzare questa collaborazione tra vite e tralci al fine di portare frutto, figura dell’unità tra discepolo e Gesù di nuovo espressa con la forma rimane in me, e io in lui.

7) Perché senza di me non potete far nulla: è un’affermazione categorica che richiama Gv 1,3: senza di lui [il Verbo] nulla è stato fatto di ciò che esiste. In vista della fecondità, di portare frutto come discepolo, il rimanere in Gesù è l’unica cosa importante, prima di ogni attivismo e zelo religioso.

8) Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca: chi sceglie di non rimanere in lui, sperimenta la sterilità, diventa un tralcio secco.

9) In questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto: ritorna il riferimento al Padre agricoltore che cerca frutti abbondanti, la realizzazione del suo universale disegno d’amore passa attraverso la testimonianza di quell’amore da parte dei discepoli di Gesù.

Atti 9,26-31

26In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo.

27Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. 28Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. 29Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. 30Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.

31La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.

1) Venuto a Gerusalemme cercava di unirsi ai discepoli: Saulo dopo l’incontro con il Signore Gesù, che gli era apparso sulla via di Damasco, e la predicazione del Vangelo in quella città, si era sottratto al complotto dei Giudei che avrebbero voluto ucciderlo fuggendo da Damasco per poi recarsi, secondo il racconto degli Atti, a Gerusalemme. La comunione con la Chiesa di Gerusalemme e gli apostoli è ricercata da Paolo poiché attraverso questa comunione è donata la comunione con il Signore risorto, che ha incaricato gli apostoli di predicare il Vangelo a tutte le genti: Quello che abbiamo veduto ed udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo (1Gv 1,3). Andate… e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del figlio e dello Spirito Santo. (Mt 28,19). Questa comunione non è semplicemente una caratteristica della chiesa fra altre, ma ne rappresenta il volto più profondo. Tanto è vero che Paolo in seguito promuove una colletta perché le chiese da lui fondate nei suoi viaggi apostolici aiutino i poveri della Chiesa madre di Gerusalemme, verso cui le altre chiese sono debitrici della fede (2Cor 8-9). Nella lettera ai Galati (1,17-19) viene dato un racconto dell’incontro di Paolo con la Chiesa di Gerusalemme discordante da quello degli Atti; nella lettera infatti Paolo afferma di non essere andato a Gerusalemme subito dopo la sua conversione, ma tre anni dopo: Quando Dio… si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito,senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme… mi recai in Arabia… In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa…. Mentre il racconto degli Atti vuole mettere in evidenza l’importanza della comunione con la chiesa di Gerusalemme e gli apostoli (così come si vede anche in altri passi degli Atti: v. p. es. At 8,14-17),  Paolo invece nell’ Epistola sottolinea il dato assoluto del suo incontro con il Signore e della vocazione ricevuta in questo incontro, anche al di là del suo rapporto con Pietro. Entrambi questi elementi sono presenti nella vita di ogni cristiano e sono in mutuo rapporto. È importante anche sottolineare che il termine con cui il testo degli Atti indica l’unione coi discepoli, che Paolo persegue, compare nel libro della Genesi, nella versione dei LXX, per esprimere l’unione nuziale fra uomo e donna (Gen 2,24): Paolo dunque non si reca a Gerusalemme solo per incontrare gli apostoli, ma ugualmente per incontrare i discepoli del Signore e stabilire con essi quei rapporti di comunione e di amore che sono la sostanza della vita in Cristo. Non è possibile infatti una sequela del Signore che non sia insieme un cammino nell’amore reciproco e nella comunione: La moltitudine di coloro che erano diventati credenti avevano un cuore solo ed un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era in comune (At 4,32).

2) Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo: siamo davanti ad un rovesciamento totale del ruolo di Saulo rispetto al racconto che gli Atti fanno del martirio di Stefano. Lì Saulo compare come partecipe di quei Giudei ellenisti che hanno una parte importantissima nell’uccisione di Stefano. Probabilmente ne è uno dei capi (At 8,1-4). Qui invece egli diventa vittima di coloro dei quali prima era guida; Paolo ha un destino simile a quello di Stefano. Si realizza così la profezia di Gesù nei suoi confronti: Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome (At 9,16).

3) La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva in numero: il dono e la consolazione dello Spirito sono all’origine di ogni dinamica della Chiesa. Questa notizia sulla pace della Chiesa impressiona perché segue subito la descrizione della persecuzione subita da Paolo. È come se questa persecuzione fosse la fonte di questa pace di cui gode la Chiesa e del dono dello Spirito. Appare qui una dinamica frequente negli scritti apostolici; dalla persecuzione sorge una Chiesa più forte e feconda: in questo si prolunga nella storia della chiesa la stessa dinamica della Pasqua di Gesù, che è all’origine del dono dello Spirito alla Chiesa (Gv 16,7).

1Giovanni 3,18-24

18Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.

19 n questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, 20qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.

21Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, 22e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.

23Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. 24Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

1) Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità: l’amore sia in sostanza senza ipocrisia. Un amore sincero, che gioisce della verità, non cerca di avere ammirazione dagli uomini, anzi è vissuto nel segreto: è paziente, è benevolo, non invidia, non si vanta e non si gonfia. La tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà (Mt 6,4). Solo i piccoli, gli umili e i mansueti, riescono poi a vedere la povertà dei piccoli e riescono ad andare oltre le parole e le buone intenzioni. Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi piccoli, non l’avete fatta a me (Mt 25,45).

2) In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore: la verità è innanzitutto riconoscere di essere dei peccatori. La verità significa essere in Cristo: Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla (Gv 15,5), quindi ogni momento della vita del cristiano porta frutto se è in Cristo. Chi non muore nell’amore rimane solo; chi invece dona la sua vita, porta molto frutto.

3) Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa: nessun uomo può nascondersi davanti a Dio; a Lui dobbiamo rendere conto perché tutte le cose sono nude e scoperte davanti ai suoi occhi. Io sono colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere (Ap 2,23).

4) E qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui: il Signore esaudisce il desiderio degli umili ed è vicino a tutti quelli che lo invocano; ascolta il loro grido e li salva. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza (Gc 5,16).

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

La grande sfida nasce dall’immagine della vite e dei tralci, dove con forza intransigente si afferma che siamo vivi perché riceviamo la vita da Lui. La nostra vita è la nostra comunione d’amore con Lui. Tutta l’immagine è dominata dal verbo “rimanere”, un verbo che al di là delle apparenze esprime ed esige una straordinaria determinazione, e che dice come noi viviamo, appunto perché “rimaniamo in lui”. La vita è dunque non una realtà posseduta, ma ricevuta! E da qui parte un tema molto delicato per la vicenda culturale nella quale siamo immersi. Per questo è necessario porre una considerazione molto impegnativa. La tradizione culturale e spirituale della fede ebraico-cristiana concepisce ogni relazione come non-immediata. Ogni relazione è mediata! Ogni relazione è… a tre! Il pensiero più ovvio sarebbe quello per cui io e te oggi ci vogliamo bene… domani non più… e quindi la nostra relazione è finita. Ma i tralci della vite sono in relazione tra loro sempre attraverso la relazione di ciascuno con la vite!

Le discussioni e le polemiche di questi ultimi anni nascono dalla rivendicazione di una libertà individuale secondo la quale la relazione finisce quando uno dei due pensa di non starci più. Allora il “contratto” finisce. Ma la comunione, secondo la sapienza ebraico-cristiana, non è un contratto, ma un patto! Il patto è una relazione che nasce dalla convergenza dell’uno e dell’altro verso uno statuto di comunione che ci guida e ci condiziona. Questo può sembrare insopportabile e fortemente lesivo della libertà individuale. Ma in realtà esso nasce dal mistero e dal dono della Pace! Contro l’istinto per cui la diversità è principio della divisione e del conflitto, la verità fondamentale e fontale è la Pace. Paolo dice che Gesù è la Pace! È la nostra pace. Gesù è l’abbattimento del muro di separazione, perché Dio è “comunione”. Ogni individualismo è principio di conflitto.

È illusorio pensare che ognuno sia libero di pensare e di fare quello che vuole. In realtà la Pace è il frutto di un patto di comunione. La vite è l’unione-comunione dei tralci. La comunione è la condizione della fecondità dei tralci. Secondo il testo degli Atti che oggi ascoltiamo, Paolo è temuto e tenuto lontano perché ritenuto nemico, ma Barnaba afferma che siccome ha visto il Signore è veramente fratello. L’immagine della vite e dei tralci abbatte la categoria dell’inimicizia che è stata ed è ancora molto sovente categoria di interpretazione per la stessa comunità credente. Ma il vero Nemico è il diavolo, cioè la divisione, l’accusa dell’altro. La pace non è pacifismo, ma conversione all’amore. Contro una verità che separa, i discepoli di Gesù sono convocati per una verità verso la quale ognuno è chiamato a convertirsi, senza pretendere di possederla.