1 Io, il Presbìtero, al carissimo Gaio, che amo nella verità. 2 Carissimo, mi auguro che in tutto tu stia bene e sia in buona salute, come sta bene la tua anima. 3 Mi sono molto rallegrato, infatti, quando sono giunti alcuni fratelli e hanno testimoniato che tu, dal modo in cui cammini nella verità, sei veritiero. 4 Non ho gioia più grande di questa: sapere che i miei figli camminano nella verità. 5 Carissimo, tu ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli, benché stranieri. 6 Essi hanno dato testimonianza della tua carità davanti alla Chiesa; tu farai bene a provvedere loro il necessario per il viaggio in modo degno di Dio. 7 Per il suo nome, infatti, essi sono partiti senza accettare nulla dai pagani. 8 Noi perciò dobbiamo accogliere tali persone per diventare collaboratori della verità.

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Sembra di notare un certo parallelo tra questa letterina e quella precedente. Si potrebbe pensare che quello che nella Seconda Lettera era detto per una comunità cristiana, qui è detto per una persona, per uno di quei “figli” di cui si parlava allora.
Compare per quattro volte la parola verità, e con una forte sottolineatura, come per indicare l’esigente riferimento e la vera misura dell’esperienza del credente. Il cammino che abbiamo fatto nella Prima Lettera mi induce a ritenere che “verità” abbia un riferimento diretto e profondo con la persona di Gesù, come abbiamo incontrato ampiamente nella Prima Lettera. La “verità” che scaturisce dalla Persona, dalla Parola e dall’Opera di Gesù è l’amore come offerta di sè. Come comportamento etico che raccoglie in sè tutti i comandamenti. Amare dando la vita, amare come Lui ci ha amati: questa sembra essere la “verità” che da Lui abbiamo ricevuto e che noi possiamo e dobbiamo vivere. Per questo, Gaio viene citato come persona “amata nella verità”(ver.1). L’esperienza profonda di ogni cristiano è quella dell’essere amata e quindi generata e accompagnata nell’amore. Questo sembra essere il principio e il nutrimento della vita di ciascuno. Il suo “benessere” come dice il ver.2. I vers.3-4 portano l’arricchimento che viene dalla testimonianza recata da “alcuni fratelli” che riferiscono al presbitero come sia “nella verità” la vita di Gaio. Questo è motivo di gioia per il presbitero. L’amore è sempre fonte di gioia. Infine, ai vers.5-8, la Lettera ci parla del volto concreto della vita di Gaio nei confronti di fratelli stranieri che egli aiuta nella loro condizione di stranieri che forse compiono una missione evangelizzatrice tra i pagani, ai quali non hanno chiesto niente per l’opera che svolgono a loro favore. Se vale questa ipotesi, ancor più direttamente verità e carità si intrecciano nella grande opera dell’annuncio evangelico. Gaio che li sostiene diventa, secondo il ver.8, “collaboratore della verità”. Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
L’elogio del v. 5 “ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli, benchè stranieri” ricorda Mt 25,35 “ero straniero e mi avete accolto”. In questo testo Gesù descrive il giudizio finale, e rivela che tutto quello che si fa a uno solo di questi piccoli – affamati, assetati, stranieri, nudi, malati, in carcere – lo si fa a lui stesso, perchè il Signore è in ognuno di quei piccoli. L’esempio di Gaio ci incoraggia all’accoglienza reciproca, nel nome di Gesù, come fratelli, anche e soprattutto di chi è straniero. C’è una piccola differenza, nel v. 4, tra il greco che dice “non ho una gioia più grande di questa: sapere che i miei figli camminano nella verità” e il latino che riporta “non ho una grazia più grande di questa:…”. Gioia-grazia. Le due parole in greco si differenziano per una sola lettera quindi si tratta forse di un problema di codici antichi differenti. Ma per noi è una “confusione” interessante perchè possiamo comprendere il v.4 in questo modo: la gioia ci viene dalla scoperta del fatto che il nostro fratello riceve un dono, vive una grazia in modo forte, cammina nella verità. Riconosciamo in lui l’opera del Signore! Questo ci spinge, pieni di gioia, a ringraziare, a rallegrarci con lui! Tra i vv. di oggi si possono individuare diversi personaggi che hanno relazioni importanti tra loro: l’anziano che scrive la lettera e che osserva con attenzione i suoi figli, l’amato Gaio che cammina nella verità, i fratelli testimoni della verità di Gaio, i fratelli stranieri aiutati da Gaio, la Chiesa davanti alla quale questi stranieri testimoniano la carità di Gaio. Questa varietà è il segno della complessità delle persone e del contesto in cui vivono, della loro diversità, della loro collocazione, delle loro posizioni. Dai versetti di oggi emergono le relazioni reciproche tra questi “diversi”. Relazioni di amore, di testimonianza, di lode, di attestazione di stima, di fraternità, di dipendenza. Relazioni tra “figli di Dio”, che “camminano nella verità”, che si vogliono bene e che per questo sono molto uniti. E’ di grande incoraggiamento per noi! Come sintesi di tutto questo si può prendere la bella espressione del v. 8 “diventiamo collaboratori -sunergo- i della verità”. Nel v.3 si mette in evidenza l’importanza del modo con cui Gaio cammina: i fratelli, guardando come Gaio cammina nella verità, attestano, testimoniano che è veritiero. Questo ci spinge a considerare con attenzione la nostra condotta, il nostro modo di camminare: può essere di edificazione o di scandalo. Esso è testimonianza, per gli altri, del Signore in noi. Ricorre diverse volte il verbo amare, in particolare nella forma “amato”, tradotto in italiano con “carissimo” al v.1, 2 e 5. E’ la stessa parola con cui Gesù, nel vangelo di oggi (Lc 3,21-22) viene presentato al mondo dalla voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Da quel momento tutti ci possiamo riconoscere tra i figli e tra gli amati di Dio, proprio come l’anziano della lettera di Giovanni descrive il suo amico Gaio e tutti gli altri fratelli.