1 Quando Acaz divenne re, aveva vent’anni; regnò sedici anni a Gerusalemme. Non fece ciò che è retto agli occhi del Signore, come Davide, suo padre. 2 Seguì le vie dei re d’Israele; fece perfino fondere statue per i Baal. 3 Egli bruciò incenso nella valle di Ben-Innòm; fece passare i suoi figli per il fuoco, secondo gli abomini delle nazioni che il Signore aveva scacciato davanti agli Israeliti. 4 Sacrificava e bruciava incenso sulle alture, sui colli e sotto ogni albero verde.
5 Ma il Signore, suo Dio, lo consegnò nelle mani del re degli Aramei, i quali lo vinsero e gli catturarono un gran numero di prigionieri, che condussero in Damasco. Fu consegnato anche nelle mani del re d’Israele, che gli inflisse una grande sconfitta. 6 Pekach, figlio di Romelia, in un giorno uccise centoventimila uomini in Giuda, tutti uomini di valore, perché avevano abbandonato il Signore, Dio dei loro padri. 7 Zicrì, un eroe di Èfraim, uccise Maasia, figlio del re, e Azrikàm, prefetto del palazzo, ed Elkanà, il secondo dopo il re. 8 Gli Israeliti condussero in prigionia, tra i propri fratelli, duecentomila persone fra donne, figli e figlie; essi raccolsero anche una preda abbondante che portarono a Samaria.
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Il mistero del male segna la vita umana senza che si possa darne una spiegazione. Non si può capire “perché” Acaz “non fece ciò che è retto agli occhi del Signore” (ver.1), come lo fece invece il padre Davide. Non è quindi solo un mistero in se stesso, ma lo è anche nella vicenda di chi si comporta come Acaz. Perché? E perché può addirittura segnare senza eccezione un’intera tipologia di persone, come qui, al ver.2, “le vie dei re d’Israele”? Il padre di Acaz è una figura positiva, come abbiamo ascoltato nel capitolo precedente. Non possiamo che constatare la forza misteriosa del male. Quando si arriva a caratterizzare addirittura le “nazioni”, come ascoltiamo al ver.3, costituzionalmente dedite agli “abomini”, viene piuttosto da pensare al bene come ad una grazia, ad un dono, al segno, come è per il popolo di Dio, di una speciale e particolare alleanza! Davanti a chi è vittima del male non si dovrebbe avere che compassione. Mi interessa avere il regalo del vostro pensiero e della vostra esperienza per questo tema cruciale dell’esistenza umana. Certo, si dice, uno potrebbe non farlo questo “male”. Ma qual’è il limite della libertà umana davanti alla potenza del male?
In una figura e in una vicenda particolarmente drammatica come quella del re Acaz, anche la reazione di Dio che “lo consegnò nelle mani del re degli Aramei” (ver.5), non posso non chiedermi di che cosa si tratta: è una punizione divina? Oppure è una provocazione perché uno sia indotto a pensare e a cambiare il suo atteggiamento? Sono tentato di pensare che la potenza vincente del male sia la “normale” tessitura della vicenda umana, e dunque la porta e l’orizzonte che Dio dona all’umanità consegnandole l’alternativa radicale, e cioè quel mistero del “bene”, che è propriamente “divino”, e che noi possiamo conoscere e vivere solo come dono. E la rivelazione ebraico-cristiana è severa anche qui, affermando che è dono non solo il bene, ma anche l’accettazione e l’accoglienza di tale bene da parte dell’uomo. Se così è, si può pensare che la tremenda dialettica tra male e bene abbia come suo scopo e come suo esito l’amore, cioè l’esperienza dell’amore di Dio che non lascia l’uomo nella prigionia del male, e che agisce in tal modo perché lo ama e perché gli vuole regalare l’amore.
Temo di avervi fatto solo perdere inutilmente del tempo.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.