5 E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito.
6 Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – 7 camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, 8 siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. 9 Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. 10 Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.
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Desidero con voi ammirare la nostra delicata e luminosa condizione di vita: “Chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito” (ver.5).
Lo Spirito è l’ “anticipo” della vita divina alla quale siamo chiamati. Dunque non siamo ancora nella nostra condizione “finale” e piena di figli di Dio, ma di essa ci è stata data la caparra: viviamo dunque in questo “già, e non ancora”.
Questo “anticipo” è l’orientamento essenziale di tutta la nostra vita terrena! Immersi ancora nel turbine della storia, viviamo tale vita già come nella sua pienezza!
Questa è la vita cristiana: malgrado tutto e al di là di tutto, Dio è nostro Padre e noi siamo tutti fratelli!
Il cristiano è chiamato a vivere in questo “anticipo” evangelico: una vita generata, condotta e giudicata dal Vangelo che ci annuncia e ci dona questa pienezza!
La versione italiana rende il verbo greco con il termine “esilio”: al ver.6 per dire che “siamo in esilio lontano dal Signore” e al ver.8 per dire che “preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore”.
Tutta la nostra esistenza è guidata da questo criterio e da questo obiettivo. E quindi da questa “scelta”!
L’esilio è caratterizzato, dice il ver.7, dalla realtà per la quale “camminiamo nella fede e non nella visione”! La fede è questo “vedere già” quello che ancora non ci è dato in pienezza!
Infatti, ancora “abitiamo nel corpo”, dal quale ci esilieremo per abitare presso il Signore.
Il ver.9 offre la conseguenza di tutto ciò: “Sia abitando nel corpo sia andando in esilio – che sono i due volti della nostra attuale esistenza! – ci sforziamo di essere a lui graditi”.
Io preferisco la proposta che in alternativa a quel “ci sforziamo” sceglie “bramiamo, ambiamo, consideriamo un onore” essere a Lui graditi! Questo ci consente di interpretare più profondamente il “tribunale di Cristo”, forse non così orientato ad un giudizio di assoluzione o di condanna, ma ad una pienezza di rivelazione del bene e del male in ognuno di noi.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.