1 Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla Chiesa di Dio che è a Corinto e a tutti i santi dell’intera Acaia: 2 grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.
3 Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! 4 Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio. 5 Poiché, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. 6 Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale vi dà forza nel sopportare le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. 7 La nostra speranza nei vostri riguardi è salda: sappiamo che, come siete partecipi delle sofferenze, così lo siete anche della consolazione.
Seleziona Pagina
Con assoluta evidenza c’è un termine che domina questo brano che apre per noi la strada in 2Corinti: la consolazione, il consolare e l’essere consolati.
Dopo l’iniziale saluto nel quale Paolo coinvolge anche Timoteo, indirizzo destinato ad un corrispondente molto ampio, che da Corinto si estende all’intera Acaia, a tutta la Grecia, la nostra Lettera si apre con la benedizione rivolta a Dio.
Ricordiamoci che la nostra benedizione a Lui è sempre generata e resa possibile dalla sua benedizione per noi! Qui è benedetto Dio Padre, che è Padre del “Signore nostro Gesù Cristo” (ver.3).
Qui gli vengono attribuiti due doni meravigliosi per noi: la misericordia e la consolazione. Ed è la consolazione il tema dominante di questo inizio della Lettera! Ben nove volte nel nostro brano di oggi è presente la parola “consolazione” e il verbo “consolare”.
Mi sembra importante subito notare che la consolazione non è una vicenda o una situazione che “viene dopo” le prove della vita, e in particolare le prove che il credente deve attraversare e sopportare.
La consolazione non è una specie di “evasione” dalla realtà! E’ molto importante tener fermo che essa è “dentro” la nostra vita, e che proprio nelle prove della vita essa si manifesta e viene donata al credente.
Per questo, la consolazione deve essere considerata come attributo preminente della nostra esperienza della Pasqua del Signore Gesù!
E la Pasqua è vicenda di passione, di morte e di risurrezione!
Dio è “Dio di ogni consolazione” (ver.3) ed Egli ci consola “in ogni nostra tribolazione” (ver.4).
Dunque la consolazione viene data ed è presente nella reale, profonda realtà della tribolazione! E’ così, come è tale l’esperienza e la conoscenza della risurrezione “nella passione e nella morte di Gesù”, che il credente sperimenta e vive in se stesso.
Cito per questo il ver.5: “… come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione”!
E ritorniamo al ver.4, che ci dice come per questo noi “possiamo consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione”.
E noi “siamo consolati da Dio!!” (ver.4) perché queste sofferenze sono “le sofferenze di Cristo in noi” (ver.5)!!.
Dunque noi comunichiamo la nostra esperienza, perché appunto, “come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione” (ver.5).
Addirittura Paolo arriva a dire che “quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza”!. Dunque c’è un incontro profondo tra la tribolazione di uno e la consolazione e la salvezza dell’altro, perché celebrando in se stessi la tribolazione del Signore Gesù i cristiani sonno annunciatori e testimoni della sua Pasqua!
Infatti, il testimone comunica in questo anche il “conforto” della vittoria sul male e sulla morte: così il ver.6, quando dice “Quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale vi dà forza nel sopportare le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo”.
E questa è “la nostra speranza” proclamata al ver.7: “sappiamo che, come siete partecipi delle sofferenze, così lo siete anche della consolazione”.
Una speranza salda, cioè ferma, sicura!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Paolo si rivolge “a tutti i santi che sono nell’Acaia”: coloro che hanno accolto il Vangelo e hanno creduto in Gesù, sono considerati e chiamati “santi”. Si può dire allora che la santità non sia una meta da raggiungere (con preghiere, ascesi, sacrifici…), ma lo stato in cui Dio ci introduce di sua iniziativa, mettendoci a parte della sua stessa vita. Si nota nei Vangeli che Gesù non ha mai invitato alla santità; “Siate perfetti”, dice in Matteo, non come Dio – cosa impossibile – ma “come il Padre”, che è misericordioso verso tutti e che ama tutti indipendentemente dai loro meriti. – Quanto alla “consolazione”, approfondita ampiamente da Giovanni, aggiungerei che essa non è solo conforto, ma è un impegno a rimuovere le cause della sofferenza e della fatica. Così immagino che ci consoli Dio, avendo cura di noi anche nelle piccole cose della nostra fatica quotidiana.