6 Certo, la religione è un grande guadagno, purché sappiamo accontentarci! 7 Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via. 8 Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci. 9 Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. 10 L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti.
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La versione italiana rende con lo stesso termine “accontentarsi” due verbi diversi che compaiono al ver.6 e al ver.8. Che significano certamente “accontentarsi”, ma che esigono anche, esplicitamente, che “si sia contenti”. Il dono e quindi il tesoro che è la vita di fede è grande: “è un grande guadagno”. Dunque, il credente è ricchissimo per il dono che ha ricevuto, dono che lo porta sempre più a non aver bisogno di altro. Il credente non si considera dunque un eroe di virtù e di rinuncia, ma è largamente appagato da quello che gli è stato regalato.
Il grande pericolo di quello che verrà chiamato al ver.10 “l’avidità del denaro”, già dalla considerazione sapiente del ver. 7 viene messo in causa, quando dice che “non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via”! L’avidità del denaro è dunque tipicamente idolo ingannevole! I vers.9-10 descrivono la drammatica potenza di inganno e di rovina che l’avidità del denaro esercita in coloro che “vogliono arricchirsi”. Al ver.10 arriva a dire che è “la radice di tutti i mali”, causa dello smarrimento del dono della fede e di molti tormenti. Tentazione che può accompagnare tutta l’esistenza del singolo credente e della stessa comunità ecclesiale.
Dunque, il ver.8 è una bella e semplice immagine della sapienza: “Quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci”, cioè “siamo contenti”. Abbiamo ben altro tesoro!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.