1 Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. 2 E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti in modo che venga escluso di mezzo a voi colui che ha compiuto un’azione simile! 3 Ebbene, io, assente con il corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha compiuto tale azione. 4 Nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati voi e il mio spirito insieme alla potenza del Signore nostro Gesù, 5 questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore.
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Mi sembra che qualificare come “immoralità” rischi di essere riduttivo. Richiama la trasgressione ad una norma ma non esprime la violenza di un “furto” e di un possesso. Più in generale voglio dire che in ogni modo il “peccato” è sempre dimenticanza, trascuratezza, o rigetto di un dono! E’ in ogni modo una aggressione al mistero nuziale nel quale siamo stati immersi dalla fede di Gesù. Quando il nostro testo dice che tale situazione “non si riscontra neanche tra i pagani”, afferma l’enorme responsabilità che abbiamo rispetto a persone che non hanno ricevuto il dono meraviglioso che ha totalmente rinnovato la nostra vita. E questo “peccato” sembra essere citato anche come “segno” di una condizione generale di abbandono e di prevaricazione nei confronti del dono di Dio. E tutto questo per quel “gonfiarsi di orgoglio” già più volte precedentemente citato, che è appunto lo stravolgere il dono di Dio in un possesso, e quindi non essere più la vita un’ “obbedienza” al dono divino, ma un’autogestione superba e violenta.
E’ di grande valore, al ver.2, il contrasto drammatico citato da Paolo, tra questo orgoglio e quella che dovrebbe essere invece afflizione: “piuttosto che esserne afflitti”. Avvertiamo come la presenza di questa categoria del dolore dica l’atteggiamento più vero e più profondo davanti ai nostri peccati: “che peccato!” quando aggrediamo e soffochiamo il dono del Signore! Mi piace la versione latina che qualifica questa afflizione come “lutto”, come avere un lutto. Come questo esprime bene l’animo con il quale la comunità decide di escludere chi compie questa violenza e questa rapina.
Al ver.3 così Paolo esprime il suo giudizio che affida alla comunità. Al ver.4 parla di essere “radunati voi e il mio spirito”, ed essere presente con loro “la potenza del Signore nostro Gesù”. Mi sembra molto importante poter sperare che il giudizio venga espresso non da un “tribunale”, ma dall’intera comunità in comunione con chi la guida! E mi sembra che sia ricco di positività e di speranza il fatto che questa severa “consegna a Satana” non sia un giudizio definitivo di condanna, ma una prospettiva affinchè chi ha prevaricato “possa essere salvato nel giorno del Signore”.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“Una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani”(v.1): infatti, noi che siamo credenti, non per questo siamo immuni, anzi… I cristiani di Corinto, invece di mettersi in lutto per la vicenda, si inorgogliscono: forse interpretano male il grande dono della libertà acquisita nello Spirito, quasi che equivalga al superamento di norme e principi di ogni tipo. Paolo sembra severissimo in questa circostanza: chiede un’assemblea che giudichi e scomunichi il colpevole, che questi venga “consegnato a satana a rovina della carne”…, ma tutto ciò “affinché lo spirito possa essere salvato”(v.5). Si conferma che tutti possiamo e dobbiamo essere salvati, qualunque cosa abbiamo combinato. E questo per “la potenza del Signore nostro Gesù”(v.4), potenza di amore e potere di salvezza.
I Corinzi erano convinti , una volta battezzati, di vivere già una vita soprannaturale che li liberava dal peccato. Per loro il comportamento non aveva importanza: la grazia ricevuta col battesimo bastava da sé per essere santi nel Signore Gesù. Certamente non tutti se alcuni di loro avevano ritenuto giusto mettere al corrente Paolo che li aveva generati in Cristo con la predicazione del Vangelo, di quello che stava succedendo.
Paolo condanna quell’uno che convive con la moglie di suo padre”. Comanda la sua espulsione dalla comunità “ affinché il suo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore.” L’allontanamento non esclude il ritorno del peccatore alla casa del Padre.
da Lumen gentium cap.5,40 “I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi, devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto.”
Bisogna crederci, crederci veramente tutti i giorni. Esserne convinti. E così acquistare la benevolenza e il sorriso di Dio.
Curiosamente la vicenda di questo uomo sembra la vicenda di Gesù: anche lui “escluso (lett. “tolto”) di mezzo” a noi; anche lui “consegnato” a Satana e ai suoi aguzzini; anche lui “messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito” (1Pt 3,18). Ma l’uomo di cui parla Paolo, giustamente: subisce, infatti, una degna condanna per quello che ha fatto; lui, invece, non ha fatto niente fuor di luogo (cfr. Lc 23,42). Eppure fino a questo punto è voluto arrivare.