13 E chi potrà farvi del male, se sarete ferventi nel bene? 14 Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, 15 ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. 16 Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. 17 Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male,
1 Pietro 3,13-17

Mi sembra molto interessante osservare come ad ogni passo 1Pietro non si preoccupi di distinguere e separare le parti nelle quali descrive il mistero cristiano da quelle dedicate alle conseguenze sul piano etico. Anche nel brano che oggi celebriamo nella nostra preghiera l’una e l’altra attenzione sono fuse insieme, e ci viene donata semplicemente una descrizione profonda e affascinante della vita cristiana sia nei suoi fondamenti sia nelle esigenze morali che ne derivano.
Il ver.13 afferma la forza intrinseca dell’esperienza del credente: chi, e cioè, quale realtà, quale vicenda, quale forza naturale o sovrannaturale, quale potenza fisica o spirituale può far del male a chi è “fervente” nel bene? “Fervente” è termine che descrive un impegno e una dedizione totale, fino alla gelosia, fino ad essere, in senso negativo, fanatismo. Ma qui tale atteggiamento è pienamente riscattato dal suo fine solo positivo: il bene, ciò che in assoluto è buono. E avremo più avanti delle ulteriori precisazioni che confermeranno questa assoluta positività. “Soffrire per la giustizia” è beatitudine, come conferma il ver.14. Di questo è fondamento l’esempio stesso del Signore Gesù, come abbiamo ascoltato ai vers.21-25 del capitolo precedente. E possiamo risalire fino alla “beatitudine dei “perseguitati per la giustizia” tra le “beatitudini” di Matteo 5,10.
Tutto questo ha il suo centro e la sua fonte nel cuore del credente: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori”. E’, al ver.15, il “sacrificio” più gradito a Dio, interiore e profondo, coinvolgente tutta la vita e tutta la persona del credente. Così il ver.15, che a tale profondo atteggiamento interiore unisce la testimonianza che ne scaturisce: “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. Non si tratta di un’esposizione teorica e dottrinale, ma ben di più! E’ semplicemente la manifestazione profonda della fede come “speranza che è in voi”. A questo punto, ecco la precisazione sapiente che illumina mirabilmente l’atteggiamento di chi peraltro era descritto come “fervente nel bene” al ver.13.: la testimonianza deve essere resa “con dolcezza e rispetto”(ver.16), dove la dolcezza è l’atteggiamento dei miti, e il rispetto è la consapevolezza di come tutto si viva sempre davanti a Dio, e dunque richieda “il timor di Dio”. Dolcezza e rispetto saranno a vergogna di chi vuole aggredire la condizione cristiana parlandone male.
Ed ecco la conclusione di queste considerazioni con un “giudizio” che apre la parola successiva: se è volontà di Dio la prova della sofferenza, è evidente quanto sia meglio “soffrire operando il bene che facendo il male”(ver.17).
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Al centro del brano odierno c’è quel pressante invito: “adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. Come ci dicono le note, il testo greco afferma “santificate il Signore”, con parole desunte da Isaia e attribuite là a Dio. Il Signore, Dio è ora “Cristo nei nostri cuori”, dove lo incontriamo e lo adoriamo. Quanto alla “speranza che è in noi”, dovrebbe essere proprio una caratteristica del credente: quanti motivi ci sono per essere depressi, se non disperati! Ma tali motivi non possono prevalere sulle ragioni di fede e speranza che ci sono state regalate.