Solo la straordinaria competenza tecnica del mio fratello Gabriele mi consente di spedire dall’altopiano dell’East Africa il mio messaggio domenicale agli amici lettori del Carlino. Il viaggio aereo che attraverso Amsterdam porta da Bologna alle verdi colline di qui, più vicine al Polo Sud che al Polo Nord, è troppo rapido. Per fortuna ci sono le dieci ore di corriera e l’ultimo balzo con il fuoristrada che ti aiuta a passare con più calma a questo mondo così diverso. Per tre giorni abbiamo pregato e pensato insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle che si sono fatti africani con gli africani, e che portano avanti un duplice impegno.

Da una parte continua un lavoro ormai ventennale di traduzione nella lingua africana più diffusa di testi biblici, liturgici e di cultura cristiana. Qualcuno mi dice che sono molto stimati per una competenza ormai considerata professionale. E insieme a questo il "tuffo" dentro al mare infinito del dramma africano dell’Aids. E tutto senza mezzi. Per il lavoro delle traduzioni si installarono anni fa due pannelli sul tetto della capanna, e così il computer può fare il suo importante lavoro.

Ma per l’altra vicenda lo scontro tra l’immensità del problema e l’inesistenza dei mezzi è inevitabile e irrisolvibile. Millesettecento persone sono entrate "in terapia"in questi mesi, in un territorio di cento chilometri di diametro, dove solo chi sta qui chiama strade le piste polverose che le piogge dell’estate – qui le stagioni sono al rovescio di noi – hanno trasformato in laghi di fango. E mi commuove che nelle nostre riunioni di questi giorni salti fuori che il problema da seguire con grande cura sia… la preghiera quotidiana! Perché senza quella, come si fa? Mi fanno vedere contenti un biglietto dell’Arcivescovo di Bologna che li saluta con affetto raccomandandosi di vigilare sul rischio di farsi stroncare dal lavoro.

Tre donne dentro ad un mare infinito di richieste, di emergenze, di dolore! E mi spiegano quello che può succedere quando un popolo è troppo povero. Davanti al dramma di una malattia totalizzante, è delicato anche l’aiuto che può venire dal nostro mondo. Perché occorre molto lavoro per l’impresa. E gli aiuti che arrivano si trasformano in compensi che potrebbero essere troppo "alti"(!) in confronto alla povertà della gente. Potrebbe esserci una specie di "corsa" verso un mestiere pagato troppo bene, al punto da diventare una carriera. E questo è niente di fronte alle ferite più profonde.

Chiedeva ieri sera uno dei fratelli se non potessimo pensare di ospitare qualche bambino che resta solo, perché tutta la sua famiglia è stata rapita dal male che non perdona. E una sorella rispondeva che le hanno parlato nel villaggio di una piccola bambina che è proprio sola, ma anche malata… e noi come facciamo? Certe sere si arriva a casa tardissimo e con l’unica energia di andare a riposare un poco. Chiudo dicendo di un pensiero che mi è nato in questi giorni. A Bologna siamo nella crisi, e si parla persino di povertà e di mancanza o di perdita del lavoro. Quanto durerà? Intanto, magari in attesa di tempi migliori, se qualcuno volesse pensare a dare le mani , la testa e il cuore per farsi presenza amica e laboriosa dei miei che sono qui? Se qualcuno vuole pensarci, sono contento di incontrarlo. Intanto, Buona Domenica. Giovanni.