1 La sapienza favorì le loro imprese per mezzo di un santo profeta. 2 Attraversarono un deserto inospitale, fissarono le tende in terreni impraticabili, 3 resistettero agli avversari, respinsero i nemici. 4 Ebbero sete e ti invocarono e fu data loro acqua da una rupe scoscesa, rimedio alla sete da una dura roccia. 5 Ciò che era servito a punire i loro nemici, per loro, nel bisogno, fu strumento di favori. 6 Invece dello sgorgare perenne di un fiume, reso torbido da putrido sangue 7 in punizione di un decreto infanticida, contro ogni speranza tu desti loro acqua abbondante, 8 mostrando attraverso la sete di allora come avevi punito i loro avversari. 9 Difatti, messi alla prova, sebbene puniti con misericordia, compresero come gli empi, giudicati nella collera, erano stati tormentati; 10 perché tu provasti gli uni come un padre che corregge, mentre vagliasti gli altri come un re severo che condanna. 11 Lontani o vicini erano ugualmente tribolati, 12 perché li colse un duplice dolore e un sospiro per i ricordi del passato. 13 Quando infatti seppero che dal loro castigo quelli erano beneficati, si accorsero della presenza del Signore; 14 poiché colui che prima avevano esposto e poi deriso, al termine degli avvenimenti dovettero ammirarlo, dopo aver patito una sete ben diversa da quella dei giusti.
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Il grande interesse del nostro brano è che accosta avvenimenti diversi – il flagello dell’acqua trasformata in sangue, e la sete degli ebrei nel deserto! – per evidenziare la separazione assoluta tra ogni atteggiamento di cupidigia e di possesso e l’abbandono fiducioso alla volontà divina. Ed è importante notare che, secondo la memoria biblica, l’episodio della sete del popolo era oggettivamente anche mancanza di fede, e dunque era necessaria una “correzione”.
Dunque, il “contrasto” tra i due avvenimenti è che nel flagello dell’acqua diventata sangue si manifesta il giudizio della condanna divina, mentre nella vicenda dell’acqua sgorgata dalla roccia l’invito divino è quello di consegnarsi sempre al dono e al mistero della fede. E’ la separazione rigorosa tra “giudizio” e “correzione”.
Questa relazione tra i due avvenimenti – acqua sangue-acqua dalla roccia – è propria del nostro testo! Ma la diversità dei due giudizi non è l’unica caratteristica e forse non è la più notevole.
Per questo richiamo la vostra attenzione sui vers.13-14! Non vorrei ingannarmi e ingannarvi, ma non posso non dire che li ho avvertiti di straordinaria importanza! Dunque, mi chiedo: si vuole qui accennare ad una prospettiva di “conversione” anche di coloro che secondo il ver.10 sono entrati nella condanna, cioè gli egiziani?
Dicono infatti i vers.13-14 che “si accorsero della presenza del Signore, poiché colui che prima avevano esposto e poi deriso – e cioè Mosè! – al termine degli avvenimenti dovettero ammirarlo, dopo aver patito una sete ben diversa da quella dei giusti”. Certo che, con Gesù, l’elezione divina riservata a Israele si dilata a tutte le genti – tutta l’umanità deve essere considerata amata e condotta da Dio Padre! – e quindi mi domando se il nostro brano non voglia anche prospettare e accennare ad una salvezza che ormai ci chiede di non condannare nessuno, e di annunciare a tutti il Vangelo della salvezza. Questi egiziani ammirati di Mosè sono una provocazione affascinante!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
La mia attenzione è stata attirata da due verbi. Il primo è “compresero”: sono gli ebrei che comprendono quello che si è verificato e si sta compiendo nella loro storia e in quella dei loro oppressori. Questi ultimi, a loro volta, avendo conosciuto quanto era accaduto al popolo d’Israele, “si accorsero della presenza del Signore”: alla lettera, “scorsero il Signore”. Ed è quello che noi facciamo o cerchiamo di fare: capire, vedere quello che la Sapienza compie nella storia, nella vita, personale e collettiva… I puri di cuore delle beatitudini sono proprio coloro i cui occhi “vedono” la presenza di Dio operante in ogni cosa.