Riportiamo le parole pronunciate durante la messa del 9 gennaio 2008 presieduta da don Giovanni Nicolini e concelebra da don Francesco Scimé. Le letture della Santa Messa erano dal Libro del Levitico 6, 1-6; e dal Vangelo secondo Giovanni 1, 35-42. Di seguito l’introduzione, l’omelia, le preghiere dei fedeli e il discorso del babbo di Luca.

 

Introduzione
Cerchiamo di darci una mano per conciliare la nostra condizione emotiva con la gran pace del nostro cuore. Perché quello che ci commuove oggi è il mistero e la consacrazione della grande bontà di Dio. E’ questo che ci mette intorno a questo nostro fratello e amico con grande tenerezza, con grande riconoscenza. Siamo qui a ringraziare il Signore per tutto il bene di cui ha circondato la vita di questo nostro fratello, per tutto il bene che abbiamo ricevuto per mezzo di lui a partire dal papà, dalla mamma, da tutti i fratelli. Quindi siamo qui per dire grazie al Signore per una vita che è stata feconda di bene: questo ci stupisce, ci rallegra e ci mette anche davanti alla nostra vita, forse troppo accorta, forse troppo consapevole di sé, troppo sicura dei suoi giudizi e dei suoi procedimenti e quindi per questo meno piccolina.
Chiediamo alla bontà di Dio di poter abbandonarci alla sua volontà, così come ha disposto per le nostre persone, i nostri incontri, i nostri progetti, chiedendo a Dio di avere misericordia di Luca e di condurre noi insieme a Luca al bene supremo di un grande incontro di pace con la pienezza della vita, con la dolcezza della sua paternità, con la gioia del suo paradiso. Celebriamo per Luca e per tutti noi quella grazia che ci ha fatti figli di Dio, non per opera nostra, non per i nostri meriti, ma solamente per la sua misericordia. Inevitabilmente ci siamo trovati dentro ad una eredità meravigliosa di luce, di pace, di affetto. Chiediamo che tutto questo, in questo momento, sia attuato pienamente per Luca nel segno e nel ricordo del suo Battesimo e sia occasione per noi per ritrovare umilmente e felicemente la nostra condizione di figli di Dio.

Omelia
Quando nell’anno 70 dopo il Signore i Romani portarono a compimento la distruzione del Tempio di Gerusalemme, in quella sera di sangue e di odio, un gruppo di soldati romani si incontrò con un gruppo di sacerdoti che si aggiravano intorno alle rovine piangendo e chiesero: ”Perché piangete?” E quei vecchi sacerdoti ebrei risposero: ”Siamo molto preoccupati per voi, perché qui, tutte le mattine e tutte le sere, noi da secoli offriamo un sacrificio per la salvezza di tutti i popoli della terra. Adesso voi avete distrutto il Tempio, non si potranno più offrire sacrifici, noi non potremo chiedere a Dio la vostra salvezza; come farete?”
Questo curioso episodio è stato tramandato nella memoria dei nostri fratelli ebrei e ha avuto poi una risposta nella loro stessa fede perché, secondo le parole che abbiamo ascoltato oggi dalla bontà di Dio: quel fuoco che era stato accesso perchè si potessero sempre, giorno e notte, offrire sacrifici al Signore, in realtà non si è mai spento. E’ un fuoco che è acceso sul vecchio altare degli olocausti ebraici, ma più profondamente è un fuoco che si è acceso nel cuore dell’umanità. Questo fuoco è molto importante, senza questo fuoco non ci sarebbero più i sacrifici al Signore. Che cosa sono i sacrifici al Signore? I sacrifici al Signore sono la strada che ogni creatura prende per tornare a Dio. Perché noi veniamo da Dio e torniamo a Dio. Veniamo da Dio e quindi non andiamo verso il nulla, verso la morte, non andiamo verso l’assurdo della fine di tutto. Noi veniamo da Dio e ritorniamo a Lui. Il significato del sacrificio nella sua purezza, senza le contaminazioni che l’umanità può aver portato, nella sua bellezza, è la restituzione della vita. Tu mi hai dato la vita e io te la restituisco. Tu mi hai gettato nella vita e io ritorno a Te. La vita è questo grande viaggio, questo grande esodo verso la casa di nostro Padre.
Allora capite: è molto importante che resti sempre acceso questo fuoco del sacrificio, sicché ogni vita è preziosa davanti a Dio. Non c’è una vita inutile, non può esistere. La vita va oltre ogni giudizio, perfino oltre il suo svolgersi, perché è di Dio e Dio non abbandona mai la vita dei suoi figli, la segue con cura, con attenzione, a volte con molta discrezione.
Ci sono molte vite che si svolgono senza che si accorgano che Dio le sta conducendo, ma Dio non molla nessuno. Tutti gli sono preziosi.
Per esempio, noi tutti che siamo qui in questa stanza, siamo tutti povera gente, ma valiamo molto per Dio, molto. E più uno dei suoi figli è piccolo, ferito, in concluso, più è amato da Dio. Io so di essere caro a Dio. So che Lui non mi abbandona, so che tutto quello che accade è dentro ad una sapienza meravigliosa che non sempre io riesco a leggere, ma è così.
Per cui il significato di questo fuoco del sacrificio è l’intento positivo, l’intento luminoso della vita. Dio un ci ha dato l’incarico di tenere un po’ acceso questo fuoco. Per esempio il bene che voi volete alle persone importanti della vostra vita è una celebrazione di questo fuoco. Perché le persone sono quel che sono, ma la cosa importante è che voi volete loro bene e con questo vostro bene tenete acceso il fuoco.
E’ per questo che ad ognuno di noi Dio ha dato dal principio una mamma, un papà, dei fratelli, delle sorelle, degli amici, delle amiche. Ha messo ciascuno di voi in una nicchia di affettuosità, che è appunto il segno del valore della vostra vita. Noi ci possiamo permettere quel lusso supremo per il quale la nostra vita non vale per quello che noi facciamo, per quello che noi siamo, ma vale per come siamo amati. Anche un vecchio come me, alla fine dice: ”Ma sì, che cosa ho combinato?” Niente, ma quando mi guardo intorno vedo quanto bene ho ricevuto da Dio, quanto sono stato voluto bene, quante persone mi hanno sopportato. Ebbene questo è il fuoco da tenere acceso sempre, di cui parlano i brani della Bibbia che abbiamo letto oggi. E’ questo l’amore di Dio.
C’è anche un’altra complessità liturgica in quei pochi versetti assurdi, come possono sembrare quelli che abbiamo ascoltato; è questo sacerdote che per mettere a posto una cosa e farne un’altra deve continuamente cambiare vestito, mettersi un vestito, spogliarsi di un altro. Però per voi che siete conoscenti e amici di Gesù questa cosa ricorda il dramma della sua passione, quando è spogliato, rivestito per prenderlo in giro, rimesso ancora nei suoi vestiti, presentato a Pilato e alla fine spogliato, nudo sulla croce. E tutto questo cambio di vestiti per noi, che siamo cattivi cristiani però un po’ amici di Gesù, che cosa vuole dire? Vuole dire di fatto questa sua spoliazione, perché le scritture dicono che lui si è spogliato della sua divinità per rivestirci di sé.
E’ quello che diciamo ad un bambino appena battezzato, gli diamo un vestitino bianco e gli diciamo: ”Ti sei rivestito di Cristo, tienilo bene questo vestito, aiutato dai tuoi cari, tienilo bene questo vestito”. Ecco perché Lui si è spogliato e si è fatto povero, perché noi potessimo rivestirci di Lui. E sapete, questo rivestirci di Lui è una faccenda piuttosto curiosa, perché secondo i Padri delle Chiese Antiche Dio è come un vecchio cieco. E’ come Isacco che da vecchio era diventato cieco e aveva due figli gemelli. A lui piaceva il più grosso, il più peloso, a sua moglie piaceva il più piccolo che pascolava le pecore. Lei cosa ha fatto? Ha preso il piccolo, lo ha ricoperto di peli e quando il vecchio Isacco, cieco, ha toccato questo figlio che gli è venuto davanti l’ha scambiato per l’altro: credeva di toccarne uno e invece toccava l’altro. Questa cecità di Dio è importantissima perché siccome per questa spoliazione Gesù ci ha rivestito di Cristo adesso che cosa succede? Che quando siamo presentati agli occhi dell’Altissimo noi, poverelli, siamo quel che siamo, disastrosissimi, ma siccome siamo rivestiti di Cristo, Lui ci tocca e ci scambia per Gesù. Essere cristiani non vuol dire essere della brava gente, non vuol dire avere la verità in tasca; vuol dire essere della povera gente che ha avuto questa grazia straordinaria, essere rivestiti del Signore Gesù e quindi essere presa dentro sempre, come figli amati.
“E’ questo il buon profumo del figlio amato mio”, abbiamo cantato. Questo figlio è Gesù, ma tutti hanno preso il profumo di Gesù. Ora di Luca io vorrei dire semplicemente questo: noi lo conosciamo da sempre, e a me sembra che sempre abbiamo avuto acceso questo fuoco, l’ha tenuto acceso il buon Dio, però anche noi l’abbiamo tenuto acceso: il papà, la mamma e poi tutti, i fratelli, le sorelle, i figli, i nipoti, tutti, anche noi, perché sempre ci è stato caro. E anche quel poco di bene, di preghiera, tutto, è stato fatto per tenere acceso il fuoco. Ed è per questo che oggi celebriamo sostanzialmente un avvenimento di pace, perché questo nostro mite fratello è una persona amata e sempre avvolta dall’amore di Dio. Quante cose nella vita si fanno, quante cose si dovevano fare diverse: “Se avessi detto, se avessi fatto …” . Basta, non vale più niente questa roba, adesso. Adesso ti chiedo solo: tu gli hai voluto bene? Questa è la sua bellezza. E non di Luca perché Luca, ma di tutti , di ciascuno di noi. In qualche modo, vedete Luca, nell’umiltà della sua vita è la misura di tutti noi. Perché noi oggi siamo in una condizione particolare di commozione? Perché siamo stupefatti dell’amore di Dio, che non conosce limiti. Sapete, non gliene importa niente di quello che abbiamo o non abbiamo fatto. Più invecchio e più mi rendo conto che a Dio non importa niente, gli importa solo una cosa: tirarsi tutti i suoi figli vicino. Qualunque sia la loro vita, qualunque sia la loro fede o non-fede, qualunque sia, diciamo così, la loro interpretazione dell’esistenza, quello che conta per Lui è tirarseli vicino. Se noi fossimo dei buoni cristiani, mi sembra che saremmo interpreti sereni di questa vicenda e sapremmo guardare finalmente in faccia ogni persona cogliendo in ogni persona un figlio amato da Dio. Poi ciascuno ha le sue magagne, i suoi patimenti, certo, chi è che funziona in questa vita? Nessuno E però qual’è la nostra pace? Qualcuno dice: ”Sì, però per me il discorso di Dio non c’entra tanto. E io dico: ”Ma c’entra la tua donna? C’entra il discorso del tuo bambino? Sì?” Ecco, va allora bene così. Perché l’amore è una cosa non divisibile. Ogni esperienza d’amore, come essere amati, come essere dentro nel cuore di qualcuno che lo avvolge, va bene così. Ecco allora che si arriva al testo del Vangelo e noi siamo in questo momento a fare la parete di Giovanni Battista che vede Gesù e dice: ”Ecco l’Agnello di Dio!” E dice che quando Giovanni fa questa affermazione, quelli che sono con lui, ascoltando lui, vanno. Oggi noi celebriamo una consegna. Siamo qui per dire a Luca: ecco l’Agnello di Dio! Abbiamo cercato di indicarglielo sempre, glielo indichiamo anche oggi e gli diciamo: ”Bene, quella è la tua pace”.
In questo momento la comunità della Terra presenta questo nostro fratello e figlio alla comunità del Cielo dicendo: ”Accoglietelo adesso. Ha attraversato qui il suo cammino verso casa, ha portato la sua fatica e la sua croce, ha in qualche modo sperimentato la passione stessa di Gesù. Bene, adesso accoglietelo”. Accettiamo questa Pasqua, per lui memoria di una vita che finalmente ha trovato la possibilità di riposare, affidandosi. Avete qualcuno vicino a voi che in qualche modo, nella dolcezza del suo affetto, nella pazienza della sua carità, vi dice: “Ecco l’Agnello di Dio!” Fidatevi, fidiamoci. Andiamoci. La strada è buona, ma il Signore desidera che ci fidiamo l’uno dell’altro. Talvolta le relazioni tra le persone possono diventare un pochino difficoltose, lo scambio della parola, dei sentimenti, degli affetti un pochino difficile. Mi sembra che oggi l’insegnamento che viene da questa nostra memoria e festa pasquale fatta per questo nostro piccolo figliolo abbia il senso di un ritrovamento dentro di noi di fiducia e di abbandono in tutto il bene che ci circonda e sta per noi come indicazione profonda di sapienza e di pace. Il Signore consenta a ciascuno di noi, come a Luca, di andare verso l’Agnello di Dio che ha preso su di sé tutti i peccati del mondo in maniera che non ci sia per nessun ostacolo per entrare nell’abbraccio del Padre.

Preghiera dei fedeli
Ringraziamo il Signore per il fuoco che ha voluto accendere per noi, di cui siamo contenti di afferrare in alto qualche piccola scintilla; affidiamo ai piccoli fuochi che Lui accende nel nostro cuore la nostra vita e quella dei nostri cari e la fatica dei popoli sulla via della pace.
Preghiere lette da Sara
– Per la Chiesa, perché senza stancarsi annunzi sempre al mondo che il nostro Padre è misericordioso e vuole la salvezza di ogni uomo, preghiamo.
– Per tutti i cristiani, perché rendano grazie a Dio e gioiscano sempre al ricordo che il Signore è venuto bambino in mezzo a noi, per partecipare della nostra vita mortale e riconciliarci con il Padre, preghiamo.
– Per il nostro caro Luca, il Signore gli conceda la sua pace e quella felicità eterna che spesso gli uomini cercano, ma faticano a trovare, preghiamo.
– Per i suoi figli, per tutte le persone che Luca ha amato e che lo hanno amato, che ora sono nel dolore dell’assenza e del distacco, perché la certezza che l’amore è più forte della morte ed è offerta gradita a Dio li consoli e li sostenga, preghiamo.
– Per le nostre famiglie, per le fatiche, le preoccupazioni, le tentazioni di divisione, le fatiche tra le generazioni, presentiamo qui sull’altare tutta la nostra vita perché possa essere assunta e trasformata dal Mistero grande dell’ Agnello di Dio che si offre per noi, preghiamo.
– Per quanti nell’ora della prova sono presi come all’improvviso, per tutti i figli di Dio che sono già tornati a casa, il Signore accolga tutti nella sua comunione senza fine, preghiamo.

Ringraziamento del babbo di Luca
Grazie a voi tutti, che siete venuti, da vicino e da lontano, a salutare il nostro caro Luca.
Luca era una persona che pensava in grande. Voleva tutto, forse perché non aveva avuto nulla nei suoi primi 18 mesi di vita. Voleva tutto, ma era anche capace di dare tutto.
A questo proposito vorrei narrarvi un episodio che accadde quando aveva 6-7 anni. Un pomeriggio io sono arrivato a casa con una foglia di gincobiloba, che avevo raccolto di fianco al teatro comunale. L’avevo raccolta per Carla, perché so che a Carla queste belle foglie piacciono molto. Sono arrivato a casa e l’ho data a Carla. Luca era lì presente. Carla è stata molto contenta per questo semplicissimo dono. Luca, che ci aveva guardato attentamente con i suoi occhietti furbi, ci ha detto: “vado a fare un giro in bicicletta”, e noi: “vai pure”; abitavamo vicino ai giardini Margherita e i bambini erano soliti andarci da soli. Abbiamo visto che prendeva con sé una sporta di plastica. Dopo poco è tornato con la sporta piena di foglie e l’ha data alla mamma. Avrà pensato: questo babbo che regala alla mamma una foglia solo! Gli insegno io cosa doveva fare ….
Luca voleva tutto, ma ha sempre avuto contro di sé una grande sfortuna. Ne parlava spesso con me; diceva, citando quello che penso sia un proverbio bolognese: “vedi babbo, la fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo”. La sfortuna, che lui chiamava con altra parola, si è sempre accanita contro di lui.
Ma cos’è la sfortuna? E’ il Male, il demonio che si accanisce contro i figli di Dio, che disturba i loro piani e contrasta anche il disegno che Dio traccia per ogni persona. Il Male si accanisce a volte in modo molto feroce, provocando grandi sofferenze.
Il Male, però, non vince. Crede di vincere in modo definitivo quando riesce a far morire una persona. Gesù Cristo però ci ha insegnato che la morte non è l’ultimo atto; la morte non toglie la vita, ma la trasforma: in meglio, perché ci porta fra le braccia di Dio, dove il Male non può più colpire.
Nella certezza della fede noi sappiamo che Luca ora è tranquillo e sereno e che può finalmente apprezzare in pieno il bene che tanti gli hanno voluto. Fra questi tanti, ci sono alcuni che gliel’hanno dato proprio tutto il loro bene, come lui esigeva.
Certo, Luca lascia in noi un grande vuoto. Cercheremo di sopportarlo con serenità, sapendo che lui ora è tranquillo ed anche contento di essere riuscito a convocare attorno a sé tante persone.