40 Quante volte si ribellarono a lui nel deserto,
lo rattristarono in quei luoghi solitari!
41 Ritornarono a tentare Dio,
a esasperare il Santo d’Israele.
42 Non si ricordarono più della sua mano,
del giorno in cui li aveva riscattati dall’oppressione,
43 quando operò in Egitto i suoi segni,
i suoi prodigi nella regione di Tanis.
44 Egli mutò in sangue i loro fiumi
e i loro ruscelli, perché non bevessero.
45 Mandò contro di loro tafani a divorarli
e rane a distruggerli.
46 Diede ai bruchi il loro raccolto,
alle locuste la loro fatica.
47 Devastò le loro vigne con la grandine,
i loro sicomòri con la brina.
48 Consegnò alla peste il loro bestiame,
ai fulmini le loro greggi.
49 Scatenò contro di loro l’ardore della sua ira,
la collera, lo sdegno, la tribolazione,
e inviò messaggeri di sventure.
50 Spianò la strada alla sua ira:
non li risparmiò dalla morte
e diede in preda alla peste la loro vita.
51 Colpì ogni primogenito in Egitto,
nelle tende di Cam la primizia del loro vigore.
52 Fece partire come pecore il suo popolo
e li condusse come greggi nel deserto.
53 Li guidò con sicurezza e non ebbero paura,
ma i loro nemici li sommerse il mare.
54 Li fece entrare nei confini del suo santuario,
questo monte che la sua destra si è acquistato.
55 Scacciò davanti a loro le genti
e sulla loro eredità gettò la sorte,
facendo abitare nelle loro tende
le tribù d’Israele.
Abbiamo osservato nel testo celebrato ieri il grande essenziale rilievo del “ricordo”, del “ricordare”. C’è addirittura un termine che qualifica il ricordo come un evento che non è semplicemente un fatto di memoria, ma è una “celebrazione” della memoria, la cui potenza è tale, da rendere presente, assolutamente attuale, quello che viene ricordato: ed è il “memoriale”, cioè l’evento di una memoria. Al punto che, quando celebriamo la Liturgia, non viene portato nella nostra realtà attuale la memoria di un fatto del passato, ma è l’assemblea che celebra la memoria ad essere “trasferita” nell’avvenimento che viene celebrato. Spero che questo non vi sembri troppo “cervellotico”: è un dato essenziale della nostra fede, e dobbiamo pazientemente entrare in tale esperienza.
Nel nostro brano si dice, ai vers.40-41, che il popolo ritorna alla ribellione. Perché? Appunto, perché “non si ricordarono più della sua mano, del giorno in cui li aveva riscattati dall’oppressione, quando operò in Egitto i suoi segni, i suoi prodigi…”(vers.42-43). Mentre le “liturgie” delle religioni sono un’evasione dalla storia, la liturgia ebraica e cristiana è un’evasione dalle nostre alienazioni e idolatrie per rientrare nella sostanza profonda della nostra storia e per ritrovare quindi il senso profondo della nostra vita personale e collettiva. Entriamo nella Messa chiedendo perdono di tutte le nostre deviazioni per entrare nuovamente negli eventi e nella sostanza della vita nuova che ci è stata donata. Per questo celebriamo, cioè ricordiamo con piena attualità, la storia della nostra salvezza, per rientrarvi liberati da ogni prigionia nella quale la nostra debolezza ci ha riportati.
I vers.44-51 sono appunto la memoria dell’opera di liberazione compiuta da Dio contro la schiavitù di male e di morte che teneva Israele prigioniero e schiavo in Egitto, e i vers.52-55 sono la rapidissima memoria dell’esodo dei quarant’anni fino all’ingresso nella Terra Promessa, da Lui preparata per il suo Popolo.
Qui faccio un’altra osservazione, consapevole di avervi probabilmente già molto appesantiti. Quando ascolto questo Salmo sono sempre molto colpito da un fatto che tento di spiegarvi. Quando al ver.44 inizia la memoria dell’opera salvifica di Dio, non viene citato direttamente l’oppressore da cui Israele viene liberato. Dunque, c’è uno stacco netto dal ver.43 dove ancora si parlava degli Ebrei, Adesso si parla degli Egiziani. Ma bisogna farvi attenzione, appunto perché questo non viene esplicitamente affermato, anche se ovviamente è molto chiaro. Perché faccio questa osservazione? Perché qui è chiaro che qualcuno viene portato verso la distruzione, cioè gli Egiziani, e qualcuno, cioè gli Ebrei, viene liberato. Ma nel compimento della storia, cioè nell’opera salvifica di Gesù, quando queste Scritture pienamente si adempiono, è la stessa Persona, Gesù appunto, a morire e a risorgere. Non c’è uno che muore e uno che risorge. Ma è Gesù che muore e risorge per la nostra salvezza. E siamo noi che moriamo alla nostra vita vecchia e risorgiamo alla vita nuova dei figli di Dio. Tutti muoiono per risorgere. Ognuno e tutti moriamo alla vecchia situazione che ci imprigiona, e risorgiamo alla vita nuova come fratelli di Gesù e figli dell’unico Padre.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“Ritornarono a tentare Dio, a esasperare il Santo d’Israele”: così comportandosi, i protagonisti dell’esodo provocavano Dio poiché limitavano la sua azione; rendevano vano il suo intervento potente. In tutta questa vicenda, vediamo descritto qualcosa di incredibile: Dio in preda alle incontenibili passioni dell’ira, della collera, dello sdegno, del furore (v.49 in particolare).Però, verso i suoi il suo atteggiamento di fondo non cambia, e un aspetto della parabola di questo salmo lo afferma ripetutamente: “Fece partire come pecore il suo popolo e li condusse come greggi nel deserto. Li guidò con sicurezza e non ebbero paura…”(vv. 52-53). La parabola del gregge tornerà nei versetti finali: Dio affida a Davide (e alla sua discendenza) il compito di pascere e guidare il suo popolo… fino alla venuta di Gesù, il pastore “calòs”, l’eccellente, cioè l’unico.