1 Al maestro del coro. Maskil. Dei figli di Core.
2 Come la cerva anela
ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela
a te, o Dio.
3 L’anima mia ha sete di Dio,
del Dio vivente:
quando verrò e vedrò
il volto di Dio?
4 Le lacrime sono il mio pane
giorno e notte,
mentre mi dicono sempre:
“Dov’è il tuo Dio?”.
5 Questo io ricordo
e l’anima mia si strugge:
avanzavo tra la folla,
la precedevo fino alla casa di Dio,
fra canti di gioia e di lode
di una moltitudine in festa.
6 Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.
7 In me si rattrista l’anima mia;
perciò di te mi ricordo
dalla terra del Giordano e dell’Ermon,
dal monte Misar.
8 Un abisso chiama l’abisso
al fragore delle tue cascate;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.
9 Di giorno il Signore mi dona il suo amore
e di notte il suo canto è con me,
preghiera al Dio della mia vita.
10 Dirò a Dio: “Mia roccia!
Perché mi hai dimenticato?
Perché triste me ne vado,
oppresso dal nemico?”.
11 Mi insultano i miei avversari
quando rompono le mie ossa,
mentre mi dicono sempre:
“Dov’è il tuo Dio?”.
12 Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.
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Iniziamo oggi un cammino nel “Secondo Libro “ del Salterio, dal Salmo 41 al Salmo 71 (io preferisco numerare i Salmi secondo il Salterio greco, che è il numero indicato quasi sempre come secondo e tra parentesi; ma di questo parleremo in altra occasione, se Dio vorrà). Un cammino che ci porterà fino alla domenica 12 febbraio. Sento necessaria una premessa! Nessuno Libro della Bibbia come il Salterio viene più illuminato in quanto viene…pregato! Sempre la Parola del Signore si illumina attraverso la preghiera, Quanto più questo Libro che è specificatamente un Libro di preghiera. E’ la preghiera che i nostri Padri Ebrei hanno comunicato a noi discepoli di Gesù. E’ quindi Parola che ci unisce in modo fortissimo al Popolo della Prima Alleanza!
Con il paragone di una cerva assetata il Salmo esprime la condizione del credente come ”sete”. Per tutto il Salmo accompagniamo un “dialogo” tra l’orante e la sua anima. E’ infatti la nostra anima ad avere “sete di Dio, del Dio vivente”. Come intendiamo l’ “anima”? Possiamo considerarla come la nostra persona interiore, come la profondità del nostro essere. Possiamo pensarla come quel livello della nostra vita dove si compiono le esperienze più profonde della nostra esistenza. Possiamo pensare la nostra anima come quella che si affaccia ad una realtà che va’ oltre la nostra stessa morte: “…quando verrò e vedrò il mio Dio?”(ver.3).
Questa “sete” è fortemente confrontata con l’attuale condizione dell’orante: “Le lacrime sono il mio pane giorno e notte”(ver.4), condizione che sembra quindi sfidare la nostra stessa fede. Da qui la domanda “retorica” che ci assedia: “Dov’è il tuo Dio?”, sempre al ver.4. E si confronta con un passato – dice “questo io ricordo” al ver.5 – di partecipazione gioiosa alla festa di tanti, una festa della fede vissuta accanto alla “casa di Dio”, cioè al Tempio di Gerusalemme. Quindi la condizione attuale è segnata dalla lontananza e dall’esilio. Mi permetto qui di sottolineare che la preghiera è sempre, in certo modo, segnata dalla lontananza, una lontananza che proprio la preghiera capovolge in vicinanza. Questo ha analogie profonde con ogni vicenda d’amore, dove la lontananza della persona amata è anche vicinanza, per la potenza del desiderio e attraverso la stessa dolorosità dell’assenza della persona amata!
Ed ecco, al ver.6, l’esplicitarsi del dialogo tra l’orante e la sua anima, e l’invito forte all’anima, affinchè immerga l’attuale sua tristezza nella speranza: “Perché ti rattristi…?…Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio”! Dal ricordo del passato gioioso si passa ora al più profondo – e drammatico – “ricordo di Te” del ver.7. La condizione di esilio e lontananza viene interpretata al ver.8 come un’ondata travolgente che sommerge tutta la vita.
Ma c’è appunto il dono supremo della preghiera, che reinterpreta l’attuale situazione e la consola con la luce della comunione di fede e di amore con Dio: “Di giorno il Signore mi dona il suo amore e di notte il suo canto…”. Così è la preghiera e così è la sua potenza: capace di restituire alla speranza, e insieme vigile a non essere evasione dalla realtà e rassegnazione fatalistica. Per questo, al ver.10 : “Mia roccia! Perché mi hai dimenticato?…”.Dunque un dialogo profondissimo e forse una “conversazione a tre” tra me, la mia anima e Dio stesso. Un Dio qui assolutamente silenzioso!. Un Dio che viene sfidato, o meglio sono io ad essere sfidato nella mia fede in Lui dalla realtà della mia situazione che sembra essere assediata anche dall’ironia canzonatoria del ver.11: “Dov’è il tuo Dio?”.
Ecco dunque tutta la potenza della preghiera che è consolazione perché è speranza. Ma è speranza che non si lascia tentare né dall’evasione, né dall’alienazione.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Per G. Ravasi, “è il canto salmico più bello”. E’ da considerare un salmo unico con il successivo 42/43. Si apre con quell’immagine piena di fascino: “Come la cerva anela
ai corsi d’acqua,/così l’anima mia anela
a te, o Dio…”. E si chiude con le parole di speranza: “Spera in Dio: …lui, salvezza del mio volto e mio Dio”. La traduzione – dice Ravasi – non può rendere la bellezza del testo ebraico, dove, tra l’altro, c’è una parola che significa contemporaneamente “anima” e “gola” (nefesh). – Al v.3 dice l’orante: “Quando verrò e vedrò il volto di Dio?”. Noi questo volto lo cerchiamo…, ma anche già lo conosciamo: è quello che Gesù ci ha “rappresentato” e raccontato. Mi piace, a questo proposito, ricordare un principio di quel bravo biblista cui ogni tanto faccio riferimento: Non dobbiamo pensare che “Gesù è come Dio”, ma che “Dio è come Gesù”. Le caratteristiche del Padre, i tratti della sua persona, del suo volto… sono proprio quelli che vediamo in quest’uomo, che a noi sembra troppo piccolo, povero e impotente…