13 D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello.
14 Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è impuro in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come impuro, per lui è impuro. 15 Ora se per un cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. Non mandare in rovina con il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto! 16 Non divenga motivo di rimprovero il bene di cui godete! 17 Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: 18 chi si fa servitore di Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini.
19 Cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole. 20 Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. 21 Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi.
22 La convinzione che tu hai, conservala per te stesso davanti a Dio. Beato chi non condanna se stesso a causa di ciò che approva. 23 Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce secondo coscienza; tutto ciò, infatti, che non viene dalla coscienza è peccato.
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Teniamo ben ferma in noi l’osservazione cha abbiamo fatta fin dall’inizio di quest’ultima parte della Lettera ai Romani, dall’inizio del cap.12, e cioè come la più alta preoccupazione di Paolo sia quella di contrastare il pericolo che la “verità” e la “giustizia” che qualcuno possa pensare di possedere, rechi scandalo e inciampo a chi per la fragilità della sua coscienza possa non intendere e non accettare. C’è dunque un criterio assoluto di verità, ed è quello della carità, dell’amore fraterno. Con molta forza questo principio viene riaffermato nella Parola che oggi il Signore ci regala.
Ecco allora l’esortazione che ne deriva: “non giudichiamoci più gli uni gli altri”, facendo attenzione a non provocare danno nella coscienza e nella vita del nostro fratello. Così la ripresa del ver.13.
Paolo stesso in certa maniera si mette in gioco, confermando, al ver.14, che “nulla è impuro in se stesso”. Ma subito afferma che tale giudizio è necessariamente consegnato alla coscienza di ciascuno. Per cui, se quello che io ritengo puro, per il mio fratello è impuro, io non posso ignorare questo fatto, e devo rispettare la sua coscienza. Per questo, non posso agire secondo la mia coscienza turbando quella del mio fratello. In tal caso, dice Paolo, “tu non ti comporti più secondo carità”(ver.15), e aggiunge una fortissima esortazione: “Non mandare in rovina per il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto”. Stupenda definizione del mio prossimo, chiunque egli sia: egli è “colui per il quale Cristo è morto”. E, ovviamente, Cristo è morto per lui precedentemente e indipendentemente dal suo attuale comportamento.
“Il bene di cui godete” del ver.16 non deve diventare “motivo di rimprovero” nei miei stessi confronti. Il che avviene quando, in nome della “verità”, che è appunto il “bene” di cui godo, diventa mancanza d’amore nei confronti del mio fratello. Il Regno di Dio, infatti, non è questione di cibo o bevanda, ma è “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”(ver.17)! In questo noi veramente serviamo il Signore Gesù!
La persona e la vita del mio fratello sono “opera di Dio”: non distruggiamo quest’opera per una questione di cibo (ver.20). E la distruggiamo quando il mio fratello non è in grado di capire e accogliere quello che io so essere giusto. Il principio dell’amore fraterno è dunque l’ultimo e supremo criterio di giudizio! Io posso e devo custodire “davanti a Dio” la fede che possiedo, ma non è più “fede”, è anzi “peccato”, quello che io faccio attentando alla coscienza del mio fratello.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Se tutta la Scrittura è come quel tesoro dello scriba di cui parla il Vangelo, è normale trovarvi qua e là delle perle particolarmente preziose. In questo brano, il v.15, sottolineato da don Giovanni: “Non mandare in rovina per il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto”. Stupenda definizione del mio prossimo, chiunque egli sia: egli è “colui per il quale Cristo è morto”. – E poi ci sono le belle parole del v.17: Il regno di Dio… è “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”. Splendida descrizione del nostro stato: persone pienamente giustificate, pacificate, riconciliate con Dio e tra di noi, colmi di gioia, di “beatitudine”…, perché Lui ha cura di noi e si compiace di noi. – Barth, nel suo commento, dà rilievo anche alle parole finali: “L’uomo serve Cristo ‘nello Spirito Santo’, non mai nel ‘nostro’ spirito. Se scegliamo questa seconda possibilità, se la libertà che cerchiamo nella nostra vita consiste nella glorificazione del ‘nostro’ spirito (e quando questa tentazione non sarebbe vicina?), non possiamo ad ogni modo meravigliarci di non essere né ‘graditi’ a Dio né ‘puri davanti agli uomini'”.