13 Ciò che è bene allora è diventato morte per me? No davvero! Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato risultasse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento.14 Sappiamo infatti che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. 15 Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. 16 Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; 17 quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 18 Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 19 infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. 20 Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 21 Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. 22 Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, 23 ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. 24 Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? 25 Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato.

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Oggi la Parola del Signore ci rivela il grande dramma dell’umanità. Dramma presente in ogni esistenza umana, sia pure con diversa consapevolezza. La preziosità di quello che oggi ascoltiamo è assoluta! Solo la Parola di Dio, e in particolare queste parole, sono capaci di comunicarci la reale condizione della vita umana, e cioè quel “dramma” che certo la fa infinitamente superiore ad ogni altra creatura. A questo proposito respingiamo come aberrante – anche se almeno in parte, almeno in certe situazioni, comprensibile – che qualche creatura, magari un cagnolino di compagnia, possa essere “migliore” di una creatura umana. Proprio nel suo dramma – e per il suo dramma – ogni creatura umana vive e manifesta il mistero e la meraviglia della sua esistenza. In questo sentirei vivo il bisogno di un dialogo e di una conversazione con i miei amici e fratelli “atei”, per cercare insieme a loro i dati profondi dell’esistenza umana. A questo voglio aggiungere il suggerimento di lasciare da parte, almeno per ora, la tentazione di fare valutazioni “etiche” di quello che ascoltiamo. Fermiamoci semplicemente – come possiamo! – a considerare con attenzione quello che ci viene detto.
L’affermazione del ver.14 – “Sappiamo che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo al peccato” – deve essere ben compresa da quello che si dice al ver.15: “..io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto”. E’ importante cogliere la realtà di questo “sdoppiamento” del mio “io” profondo. Coglierlo, riflettervi, e discuterlo. Io ne avverto la piena verità, come la verità di una condizione umana che penosamente considero, e davanti alla quale mi sembra di dover dire che “è proprio così”! Non qualcosa che io posso modificare, ma quello che assolutamente c’è!
La conseguenza che se ne deduce sia ai vers.16-17, “…non sono più io ( a fare il male che non voglio), ma il peccato che abita in me”, e al ver.20: “…non sono più io (a fare il male che non voglio), ma il peccato che abita in me”, non vuole essere una tranquilla “giustificazione”. Dare la colpa al peccato (scusate la banalità del mio linguaggio) non mi assolve, non mi mette tranquillo, perché avverto che tutto converge nell’esperienza di una mia “alienazione”, cioè di “un’appartenenza ad un altro”, che qui viene chiamato “il peccato”. Ma dal dramma non posso sfuggire: io sono non solo la vittima, ma anche l’autore del mio dramma. Dunque, una condizione che insieme mi sconvolge e mi tiene prigioniero. Accennavo più sopra ai miei amici “atei”, perché mi sembra che Paolo attribuisca questa situazione – questa consapevolezza! – non solo al credente, ma ad ogni creatura umana, sia pure con gradi diversi di consapevolezza e di coscienza. A questo mi porta, al ver.23, l’uso del termine “legge della mia ragione” – alla lettera “legge del mio pensiero”- e quindi un’affermazione che sembra riguardare ogni creatura umana. Mi sembra infatti che la coscienza “laica” sia oggi ben consapevole, al di là del giudizio morale che vi si esprime, di un’inevitabile frattura del pensiero e della coscienza davanti al mistero (!) del bene e del male, come qualcosa che non possiamo né manovrare né possedere, né regolare come meglio pensiamo.
Mi fermo qui. Penso di avervi procurato già abbastanza grane con i miei pensierini-pensieracci. Come possiamo, mettiamo tutto nella preghiera dei piccoli e dei poveri, chiedendo al Signore di avere compassione di noi. Però io devo dire anche un’altra cosa: e cioè che quello che oggi Lui dice mi riempie di emozione e di commozione, sino all’ultima domanda, quella del ver.24: “Chi mi libererà…?
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.