Di seguito il testo dell’omelia del nostro arcivescovo del 1 Gennaio 2018, Giornata Mondiale della Pace 2018.
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Siamo all’inizio dell’anno e affidiamo al Signore autore della vita i nostri giorni. Ne abbiano bisogno. Dio ci aiuta a vivere tutti i tempi della nostra vita. È un Padre che conserva il nostro passato, perfino i capelli del nostro capo e quell’umile bicchiere di acqua fresca donato, come il tempo negato al prossimo o il talento sotterrato. Ma con Lui il passato non è mai una condanna. È un Figlio che ci aiuta a vedere il presente, a viverlo con amore perché senza non si vive e tutto diventa grigio. È Spirito che crea comunione, che fa vedere le cose invisibili e costruire con passione il futuro, capendo cosa stiamo a fare a questo mondo. Insieme a Maria, stella del mare che sta alla porta del cielo perché i naufraghi della vita possano trovare orientamento e consolazione, cerchiamo e intercediamo per il dono della pace. Senza pace non c’è futuro e si cancella il passato. Non c’è una volta per sempre! È un dono che dobbiamo spendere per chi non la ha e per chi, perdendo la sua vita lo ha ottenuto. Dobbiamo difenderlo perché la pace è sempre minacciata dal male, erosa da tanti individualismi, dai semi di intolleranza, dalla violenza ordinaria, dall’aggressività nei pensieri e nelle azioni, dall’incapacità a dialogare e riconoscere il prossimo. La pace richiede ponti sempre nuovi, perché altrimenti si costruiscono muri che impediscono anche fisicamente di vedere il prossimo e per questo ci riempiono di paure. Maria come tutte le madri soffre quando vede la vita dei suoi venire meno. Quanta vita viene spenta! A volte ci raggiungono immagini, sempre impietose, che non possiamo guardare con morbosa curiosità, perché quella persona potremmo essere noi e chiede consapevolezza e pietà. Qualche volta ho paura che pietà l’è morta in internet!
La pace non è una preoccupazione accessoria. È una lotta drammatica per la vita, contro le terribili sorelle delle guerra che sono la povertà, le malattie, la distruzione, la disperazione, la fame. Nel benessere l’uomo non comprende e si illude. Rischiamo di rendere la nostra pace stolto ottimismo se non affrontiamo i tanti pezzi della guerra mondiale e le epifanie drammatiche di dolore che ci raggiungono, come quei fratelli e sorelle che emergono dal grande abisso del terzo mondo alla ricerca di futuro. Sono “lottatori di speranza” che vogliono solo scappare da veri inferni sulla terra. Questi ci riguardano. Sono passati 70 anni da quando è entrata in vigore la Costituzione nel nostro paese, frutto di tanto sofferto umanesimo, dove si afferma che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Diventiamo noi costruttori di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia, binomio che non può essere mai disgiunto. Non c’è futuro se i disequilibri non sono combattuti. La pace è affidata sì ai responsabili delle nazioni ma è anche sempre artigianale e passa per le nostre persone. E per prima cosa dobbiamo essere noi in pace con noi stessi. Non si da la pace se non la abbiamo e la pratichiamo. Mandiamo via quello che ci rende inquieti, duri, aggressivi, che ci fa credere in diritto di trattare male, che ci fa seminare giudizi che sono condanne. La pace inizia adesso, è mia ma si comunica, è contagiosa, produce frutti.
Noi possiamo essere come i pastori che hanno visto il principe della pace, quel Dio che mette pace tra terra e cielo, tra Abele e Caino, che è venuto a redimere, cioè a liberare dalla condanna, a portare la grazia del suo amore che non dobbiamo più rubare impadronendocene ma che troviamo regalandolo. Essi furono i primi artigiani di pace. E tutto cantava quella notte. Il mondo canta quando siamo in pace e quando la costruiamo, quando non ce ne stiano in pace come diceva Mazzolari, ma siamo uomini di pace. Ci sono altri pastori che cercano ancora il bambino. Lo cercano disperatamente, perché portano nel loro cuore la notte profondissima della violenza e della guerra. Sono i migranti e i profughi, ai quali Papa Francesco ha voluto dedicare questa cinquantunesima giornata mondiale della pace ai migranti e rifugiati: “Uomini in cerca di pace”. Essi ci chiedono di essere guardati umanamente e di gestire con intelligenza e lungimiranza quello che abbiamo. Disse Papa Francesco a Bologna: “Nel mio cuore voglio portare la vostra paura, le difficoltà, i rischi, l’incertezza; le persone che amate, che vi sono care e per le quali vi siete messi a cercare un futuro. Portarvi negli occhi e nel cuore ci aiuterà a lavorare di più per una città accogliente e capace di generare opportunità per tutti. Per questo vi esorto ad essere aperti alla cultura di questa città, pronti a camminare sulla strada indicata dalle leggi di questo Paese”. Mi sembra un’indicazione importante per loro e per noi. Trasformiamo in cantieri di pace le nostre città! Vivere sul serio e tutti la cultura e le leggi aiuta noi e loro. La contrapposizione c’è quando noi non sappiamo più chi siamo, quando noi non ci riconosciamo più, quando abbiamo parole di divisione per l’unità del paese o inquiniamo le fonti della convivenza fomentando la paura anziché costruire la pace, seminando violenza. Siamo figli del nostro paese con la sua storia e la sua cultura e proprio per amore a questo lo vogliamo aperto al futuro, grande come l’umanesimo che contiene, consapevole e forte della sua identità. A Bologna Papa Francesco ha indicato il diritto alla pace. “Sperimentiamo una fragilità incerta e la fatica di sognare in grande. Di fronte alla pace non possiamo essere indifferenti o neutrali. Il Cardinale Lercaro qui disse proprio cinquant’anni or sono: “La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia”. Non neutrali, ma schierati per la pace! Che inizia con l’accoglienza, intelligente, lungimirante, sicura per tutti. Lercaro chiese di non giudicare gli altri ma di cambiare noi. “Mi domando soprattutto fino a che punto possiamo avere talvolta inclinato a vedere solo in altri la causa dei disordini e dei conflitti ed eventualmente a giudicarli come fomentatori di guerra e perturbatori della pace, piuttosto che esaminare noi stessi ed eventualmente preoccuparci di togliere da noi le pietre d’inciampo sul cammino della pace e le ragioni di scandalo, forse inconsapevolmente offerte ai credenti e ai non credenti”. Non volle e noi oggi non vogliamo stare zitti per opportunismo. Oggi le pietre di inciampo sono il calcolo cinico delle convenienze economiche che la portato a innescare dissennati conflitti poi senza ritorno, il traffico di armi, l’ignavia dell’indifferenza. “Voglia il Cielo che non si debba mai rimproverare di avere taciuto qualche cosa che potesse essere essenziale alla valida testimonianza di pace della nostra Chiesa bolognese, nel contesto umano, sociale, culturale in cui essa vive e opera”. Iniziamo noi a comporre i conflitti con la forza della pace, praticando l’accoglienza, dando e chiedendo perdono, riparando un mondo così diviso a pezzetti e liberandolo da tanto inquinamento di odio e incomprensioni. “Accogliere”, “Proteggere”, “Promuovere”, “Integrare” sono i verbi della pace. “L’ umanità diventi sempre più famiglia di tutti e la nostra terra una reale “casa comune”. La pace di oggi e di domani inizia dalla concreta e possibile accoglienza ai migranti e ai rifugiati, come del resto ai poveri di sempre. Accorgiamoci “che tutti facciamo parte di una sola famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto ad usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale”. È l’impegno da avere verso chi bussa ma anche per chi sta dentro la casa, liberi dalle deformazioni della paura per cui la prima cosa che pensi è il pericolo, ma stimando il “carico di coraggio, capacità, energie e aspirazioni”, che “arricchiscono la vita delle nazioni che li accolgono”.
Faccio mie oggi le parole di Lercaro: “Vorrei essere un servo dell’Evangelo di pace, vorrei che tutta la Chiesa di Bologna non fosse altro che un unico generale annunzio dell’Evangelo di pace a tutti, ma specialmente ai giovani, perché tutta la nostra gioventù possa divenire una forza grande, spirituale e storica, nei nostri giorni “operatrice di pace”. Lo crediamo ancora di più oggi. Non neutrali, ma profezia di pace, perché tutti attraverso il nostro amore sentano per loro la benedizione di Dio: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.