8Essi leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. 9Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. 10Poi Neemia disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». 11I leviti calmavano tutto il popolo dicendo: «Tacete, perché questo giorno è santo; non vi rattristate!». 12Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni e a esultare con grande gioia, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate.
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Il soggetto della frase del ver.8 sono le persone e i leviti del ver.7. La spiegazione più semplice del ver.8 è che siccome la Parola veniva proclamata dal testo ebraico, come è sempre norma per la liturgia sinagogale anche oggi, il popolo non capiva, perché si trattava ormai di una lingua “antica”, come fosse per noi il latino. Per questo si può pensare che la spiegazione fosse una “traduzione” in aramaico del testo che via via veniva proclamato, con qualche illuminazione sul contenuto, in modo che la gente potesse capire. E questa “spiegazione” veniva fatta a “gruppi”, raccolti appunto intorno a questi “ministri” della Parola. Questa ipotesi ci regala un’immagine splendida della cura con la quale ci si preoccupava che tutti potessero intendere la Parola. Non erano “prediche”, ma illuminazioni del testo.
Il ver.9 rivela, come all’improvviso, che “tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge”. Le note dicono che questo è provocato dal loro percepire quanto erano lontani da quello che ascoltavano. E questo è vero, ma in un senso più profondo e globale, assolutamente vero anche per noi oggi. E cioè che l’ascolto della Parola nella fede è sempre “Pasqua”. Cioè, è sempre un giudizio per la salvezza. E’ quindi un giudizio di morte per la risurrezione. E’ evento nel quale “muore” la creatura e risorge il Verbo incarnato. Nella Parola di Dio noi tutti sempre “moriamo e risorgiamo”.
Per questo, il ver.10 non va inteso come negazione di quel pianto, ma suo compimento nella gioia e nella festa! “Questo giorno è consacrato al Signore nostro”, e la tristezza deve fluire nella gioia, perché “la gioia del Signore è la vostra forza”. Forse quest’ultima frase l’avete già sentita qualche volta nel congedo della Messa. E’ bellissima questa citazione della “gioia del Signore”: la sua gioia per la vittoria della vita sulla morte. Gioia per la vita nuova, la vita divina donata all’umanità. Dunque, questo giorno “nasce” dalla tristezza, ma deve tramutarsi in giorno di gioia e di festa.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Mentre al v.4 Esdra era attorniato da 13 personaggi per la lettura delle Scritture (la Bibbia di Ger. li definisce “notabili laici”), ora sono 13 leviti a leggere e spiegare “il libro della legge”(v.8). La parola tradotta con l’espressione “a brani distinti” può significare – dicono le note – “tradurre con chiarezza” o semplicemente “in maniera chiara” o, anche, secondo una divisione in paragrafi (nella lettura in Sinagoga il Pentateuco era suddiviso in 54 parti). Nell’invito a far festa con un bel banchetto, c’è anche la richiesta di “mandare porzioni a quelli che nulla hanno di preparato”(vv.10 e 12). Perché alcuni non hanno preparato niente? Forse perché poveri? O perché disinteressati o impegnati in altre attività? Qualunque sia il motivo, è bello che la lettura della Parola e la festa conseguente non possano essere separati dalla realtà sociale, concreta. Sembra che non si possa celebrare senza condividere. – Quanto alla gioia, giustamente don Giovanni sottolinea che è “la gioia del Signore” a risultare contagiosa, …dato che noi facciamo fatica a volte anche a gioire e a comunicare gioia.