1Nel mese di Nisan dell’anno ventesimo del re Artaserse, appena il vino fu pronto davanti al re, io presi il vino e glielo diedi. Non ero mai stato triste davanti a lui. 2Ma il re mi disse: «Perché hai l’aspetto triste? Eppure non sei malato; non può essere altro che un’afflizione del cuore». Allora io ebbi grande timore 3e dissi al re: «Viva il re per sempre! Come potrebbe il mio aspetto non essere triste, quando la città dove sono i sepolcri dei miei padri è in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco?». 4Il re mi disse: «Che cosa domandi?». Allora io pregai il Dio del cielo 5e poi risposi al re: «Se piace al re e se il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi, mandami in Giudea, nella città dove sono i sepolcri dei miei padri, perché io possa ricostruirla». 6Il re, che aveva la regina seduta al suo fianco, mi disse: «Quanto durerà il tuo viaggio? Quando ritornerai?». Dunque la cosa non spiaceva al re, che mi lasciava andare, e io gli indicai la data. 7Poi dissi al re: «Se piace al re, mi si diano le lettere per i governatori dell’Oltrefiume, perché mi lascino passare fino ad arrivare in Giudea, 8e una lettera per Asaf, guardiano del parco del re, perché mi dia il legname per munire di travi le porte della cittadella del tempio, per le mura della città e la casa dove andrò ad abitare». Il re mi diede le lettere, perché la mano benefica del mio Dio era su di me.
9Giunsi presso i governatori dell’Oltrefiume e diedi loro le lettere del re. Il re aveva mandato con me una scorta di capi dell’esercito e di cavalieri. 10Ma lo vennero a sapere Sanballàt, il Coronita, e Tobia, lo schiavo ammonita, e furono molto contrariati per il fatto che fosse venuto un uomo a procurare il bene degli Israeliti.

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Mi piace vedere nelle parole che oggi riceviamo dalla bontà del Signore la fisionomia tipica e profonda della vita del credente: come se si dovessero “celebrare” due liturgie! Da una parte la liturgia che ci è chiesta in quanto siamo “nel mondo”, e dall’altra la liturgia propria di chi è nel mondo ma “non è del mondo”. Per questo il nostro testo ci mostra continuamente un “doppio piano” delle parole, dei sentimenti, dei giudizi e degli eventi stessi. Che cosa si dice, che cosa si fa, che cosa si sente e si pensa, che cosa si cerca…?
E’ interessante che di questo anche il re si interroghi e interroghi. Qual’è la ragione dell’ “aspetto triste”(ver.2) di Neemia? Non è malato, e allora deve trattarsi di “un’afflizione del cuore”. Questa osservazione del re genera in Neemia un “grande timore” perché è come se il suo cuore venisse scoperto o potesse essere scoperto. D’altra parte la sua risposta, pur vera, non è del tutto piena: la sua tristezza infatti non è tanto in riferimento ai “sepolcri dei miei padri”, quanto alla desolazione della città che egli sente debba essere riparata: non sono pensieri verso il passato, ma verso il futuro.
Perciò, quando viene richiesto di esprimere il suo desiderio, Neemia “prega il Dio del cielo”: bisogna infatti poter esprimere il proprio desiderio custodendo la segretezza delle intenzioni più profonde. Per questo chiede al re di essere mandato in Giudea, nella città “dove sono i sepolcri dei miei padri, perché io possa ricostruirla”. Però il progetto profondo non è quello di aggiustare dei sepolcri, ma di ridare vita a Gerusalemme!
In tal modo, quello che era stato proibito, e cioè, come abbiamo visto nel Libro di Esdra, la ricostruzione delle rovine, ora viene concesso, ma il re concede anche le lettere di raccomandazione che Neemia richiede.E non solo: di suo, sapremo al ver.9 che gli ha dato anche “una scorta di capi dell’esercito e di cavalieri”. E gli viene concesso anche il legname fornito dal guardiano del parco. Le note ci dicono che il parco si chiama, con un termine della lingua persiana, “paradiso”!
Qualcosa di tutto ciò capiscono i due capi del ver.10, che sono “molto contrariati per il fatto che fosse venuto un uomo a procurare il bene degli israeliti”. Siamo dentro ad un esempio molto chiaro di “laicità”, che è la volontà e la capacità da pare del credente di custodire la rivelazione e la volontà del Signore là dove il Signore non è conosciuto e non è venerato. La volontà e la capacità di vivere nel presente il “futuro”, cioè la sempre sorprendente “novità” di Dio.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.