17 Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». 18 Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». 19 I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
20 Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. 21 Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». 22 Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». 23 Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. 24 Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». 25 Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
La notazione temporale Il primo giorno degli azzimi indica che siamo ormai nella festa di Pasqua e che tutto quello che avviene, nel bene e nel male, è da Gesù interpretato come il compiersi della Pasqua in lui: questo è il senso dell’affermazione Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua…
In più, Gesù vive la sua pasqua come una vicenda comunitaria, un’occasione da vivere insieme con i suoi discepoli: farò la Pasqua da te con i miei discepoli; qui nasce la nuova comunità, la famiglia di Gesù, intorno alla mensa dell’Ultima Cena, cena di comunione e d’amore.
Neanche il tradimento può far nulla contro questa energia invincibile di amore, che porta Gesù a denunciare il tradimento, ma non il traditore, che resta segreto a tutti, cosicchè ciascuno è costretto a chiedersi e a chiedere a Gesù se non sia lui il traditore.
Anche oggi il vangelo cita “un tale” senza dirne il nome. Ci aveva già colpito questo fatto quando abbiamo ascoltato il brano della donna che unge il capo di Gesù con olio profumato, assai prezioso. Anche là il vangelo non ci diceva il nome della donna, mentre citava il nome dell’ospite del Signore nome: Simone il lebbroso. E questo sebbene l’azione della donna risultasse ben più importante e degno di essere ricordata per sempre nel vangelo. Anche oggi a questo “tale” vengono rivolte parole importanti: “DA TE devo mangiare la Pasqua”.
Pensiamo che sia così per due motivi. 1. perché possiamo essere certi che oltre al numero “ufficiale” dei discepoli ci sono molti altri che accolgono Gesù, lo confessano come il Maestro e il Messia. 2. E poi in questo modo tutti possiamo vederci rappresentati da quella donna e da quel “tale”.
“Dove vuoi che TI prepariamo la pasqua?” chiedono discepoli a Gesù. Gesù, dopo avere concluso tutte le sue parole, aveva detto ai discepoli all’inizio del cap. 26: “Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell’ uomo sarà consegnato per essere crocifisso”. I discepoli capiscono che è Gesù che deve mangiare la Pasqua. E in questa cena pasquale Lui è il pastore e l’agnello, che viene immolato per tutti gli uomini.
“Il mio tempo è compiuto!”. Mentre Giuda cercava l’ “occasione propizia” per consegnarlo in realtà è Gesù – non Giuda, o qualcuno dei capi dei sacerdoti – che conduce gli avvenimenti della Sua Passione, ben sapendo che è già giunta l’ora che il Padre gli ha preparato.
Forse i discepoli dovevano rifiutarsi di preparare questa Pasqua per Gesù, sapendo che sarebbe stata l’ultima. Invece obbediscono a Lui e al Padre, inserendosi nel loro disegno di morte e risurrezione, per la salvezza del mondo. La migliore “preparazione” che possiamo fare è accettare di prendere parte alla celebrazione della Pasqua di Gesù insieme a Lui.
L’unica altra volta che nei Vangeli Gesù si dichiara “Maestro” è nel cap. 13 di Giovanni, dopo la lavanda dei piedi dei discepoli. Finora Gesù maestro ha insegnato ai discepoli con le sue parole, e ora insegna con la sua passione. E così ci insegna come vivere la nostra Pasqua, “con azzimi di sincerità e di verità”, nella sua carità.
Le parole di oggi che dicono la partecipazione dei discepoli alla “preparazione” della sala in cui Gesù avrebbe celebrato il banchetto pasquale con i suoi sono sempre state intese dalla Chiesa madre come anche rivolte a sé, come dice il primo paragrafo della Introduzione al Messale: “La Chiesa, quando dettava le norme per preparare gli animi, disporre i luoghi, fissare i riti e scegliere i testi per la celebrazione dell’Eucarestia, ha perciò sempre considerato questo ordine come rivolto a se stessa.”
La risposta di Gesù ai discepoli che gli chiedevano dove preparare PER LUI la Pasqua, vogliono dirci il suo desiderio di andare a farla in casa delle persone, senza magari aspettarsi che prima si muovano verso di Lui, e lì porta con sé la comunità dei suoi discepoli: è la festa dell’allargamento della comunione e dell’unità di molti cuori, insieme a Lui.
Più che commentare, mi viene da esplicitare alcune domande, alle quali forse qualcuno potrà rispondere (o Giovanni, quando sarà guarito!). – Quando ha avuto luogo questa cena pasquale? I discepoli interrogano Gesù “il primo giorno degli azzimi”; quindi la festa ebraica sarebbe già iniziata. Il giorno, però, per gli ebrei iniziava nella sera della vigilia; quindi i discepoli avrebbero preparato il tutto per la sera della vigilia. Ma poi, come connettere questo calendario con quello del quarto vangelo, dove si dice che il giorno della preparazione (le parasceve) era il venerdì (e per questo i corpi non potevano rimanere sulle croci)? – Un’altra domanda: ma Gesù ha celebrato la pasqua degli ebrei? Qualcuno ritiene di no; infatti, non vi è alcun accenno alla consumazione dell’agnello, nè alcun riferimento agli azzimi (Gesù prende il pane). Egli ha fatto allora una cosa del tutto nuova!
SECONDA PARTE
Molte volte Gesù ha detto ai suoi discepoli che il Figlio dell’uomo deve essere consegnato nelle mani degli uomini e dei capi. E anche all’inizio di questo cap. 26 aveva rinnovato in loro la memoria di questo dicendo che la sua ora ormai era giunta. È il Padre che lo consegna, nel Suo piano d’amore per l’uomo e per la sua salvezza. Oggi, per la prima volta Gesù dice che il traditore è uno dei Dodici, senza nominarlo.
In questo modo Gesù mette in guardia tutti e rimprovera tutti, perché il cuore di tutti è debole, e ciascuno di loro e di noi può essere attirato da altre cose o pensieri.
A questo annuncio di Gesù, il dolore avvolge tutti (v.22). Questo ci dice che è necessaria una grande umiltà davanti alla consapevolezza che può accadere a tutti di essere tentati dal male. Questo ci ricorda le parole di Dio a Caino, anche lui tentato di dare alla morte un suo intimo, il fratello Abele: “Se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo” (Gen 4:7).
Perciò è giusto che davanti alle parole di Gesù ciascuno gli domandi: “Sono forse io?”. È importante essere umili e desiderosi di misericordia.
Anche Pietro rinnegherà il Signore. Senza l’aiuto della grazia di Dio non possiamo fare niente di buono, ma lo rinneghiamo. Solo con la grazia di Dio possiamo fare la Sua volontà.
Alla fine anche Giuda chiede: “Sono forse io?”. È Giuda quell’uomo descritto dal salmo 40(41): “l’amico che mangiava il mio pane, che alza contro di me il suo calcagno”. Giuda viene descritto dagli inni della liturgia orientale della settimana santa come “colui che non ha compreso”: non ha compreso soprattutto “il mistero del povero”, quello che questo salmo 40 canta e quello che Gesù ha rivelato: l’amore e la forza di Dio nascosta e presente nel piccolo uomo Gesù. Questo Giuda non ha né accettato né conosciuto.
Le severe terribili parole che Gesù aggiunge: “Sarebbe meglio per lui se non fosse mai nato” simili a quelle dette dell’uomo che “scandalizza uno dei piccoli di Gesù” dicono la severità di Dio verso ogni pensiero che non riconosce né onora il “mistero del povero e del piccolo”: di Gesù e dei piccoli e poveri a cui si è fatto simile.
Gesù mostra di conoscere tutto quello che sta per accadere, e anche ciò che c’è di più nascosto nel cuore degli uomini; ma nello stesso tempo riconosce e si sottomette con obbedienza e amore alla volontà del Padre.
Le parole severe di Gesù verso Giuda ci dicono come sia importante che non entriamo in quella condizione per la quale siamo da soli con la nostra volontà. Nella notte di pasqua il diacono canta le parole del Preconio che dicono: “A nulla coi sarebbe valso nascere, se non fossimo stati redenti!”. Questo ci ricorda che la nostra vita ha significato solo in quanto è stata redenta dalla pasqua di Gesù, e nella comunione con Lui, come si è rivelato e come ci ha rivelato, nella sua povera umanità, l’amore del Padre.