18 La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. 19 Vedendo un albero di fichi lungo la strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: «Mai più in eterno nasca un frutto da te!». E subito il fico seccò. 20 Vedendo ciò, i discepoli rimasero stupiti e dissero: «Come mai l’albero di fichi è seccato in un istante?». 21 Rispose loro Gesù: «In verità io vi dico: se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che ho fatto a quest’albero, ma, anche se direte a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, ciò avverrà. 22 E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete».
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Talvolta qualche parola della Scrittura può destarci sorpresa e imbarazzo. In queste occasioni può essere utile, oltre all’aiuto fondamentale ed essenziale che ci viene dall’invocazione dello Spirito Santo, considerare quelle parole all’interno del testo biblico, e particolarmente a quello che ha preceduto e a quello che segue il nostro brano. Ed è questo che mi convince oggi a considerare la vicenda del fico sterile nell’orizzone di tutto il cap.21, iniziato con l’ingresso del Signore a Gerusalemme e seguito dall’episodio del cacciata dei venditori nel tempio. Questo mi sembra ci avverta che questo fico senza frutti rappresenta la situazione di Israele e il giudizio che a Israele viene dalla presenza, dall’insegnamento e dalle opere del Signore Gesù. Tanto più che, come mi fa osservare Francesco di Sammartini, il fico è termine al femminile, e nel testo originale si sottolinea che è l’unica pianta che Gesù incontra quel giorno sul suo cammino. Come per dire di un rapporto prezioso ed esclusivo, come è per le “nozze” tra Dio e il suo popolo.
Per questo mi sembra molto importante quel suo aver fame di cui ci dice il ver.18. Lo si può intendere all’interno della relazione d’amore che Dio stabilisce con il suo popolo, una relazione dove non può mancare una nota di reciprocità, come è di ogni relazione d’amore. Il Signore ha fame e sete di noi! Oppure si può intendere questa fame come il suo farsi carico e interpretare la grande “fame” del mondo: fame di salvezza e di pace. Fame di liberazione dal male e dalla morte, fame di vita nuova. Se ripensiamo un momento alla vicenda del tempio, ci può essere chiaro come la vecchia economia, appesantita da tante pesanti e inutili tradizioni degli uomini, sia ormai incapace di nutrire i bisogni e le attese della povera umanità che abbiamo visto rappresentata nel tempio dagli storpi e dai ciechi, e interpretata dalla lode dei bambini. Mi sembra che anche oggi questa domanda si debba porre: il mondo può ancora trovare nutrimento presso di noi cristiani, per le domande, i bisogni e i drammi del nostro tempo? In questo senso, sappiamo veramente accogliere la fatica della storia ed esprimere la volontà salvifica di Dio nei confronti dell’umanità, e il suo amore per ogni uomo e donna della terra? Gesù, affamato, non trova che foglie!
E d’altra parte talvolta il peso di una tradizione millenaria e di una struttura immensa e complessa, ci sembra difficile – forse impossibile – da smuovere. Ed è a questo punto che Gesù trasferisce l’episodio che ha stupito i discepoli in un orizzonte globale di fede. La fede è capace di smuovere anche le montagne e di scaraventarle nel mare.
Queste considerazioni di carattere generale possono e devono essere portate anche nell’orizzonte di ogni vita e di ogni esperienza. Possiamo – e non è male! – essere talvolta spaventati dell’infruttuosità della nostra vita. E siamo tentati di pensare che non ci sia niente da fare! Invece, in un istante, il Signore può allontanare tutto quello che è sterile e ingombrante, e fare nuove tutte le cose anche in un peccatore come me.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“Mentre rientrava in città” (v.18): Gesù, quindi, ha davanti a sè Gerusalemme e il monte Sion, su cui sorgeva il tempio. Perciò, il monte che, con la fede in Lui, si può gettare in mare, non è una montagna qualsiasi: è “questo monte”, è il tempio con le sue usanze e istituzioni. Se ieri si diceva che zoppi, storpi e ciechi potevano accedere al luogo sacro (cosa prima proibita dalla legge), e quindi che nessuno deve ritenersi escluso dalla relazione con Dio, oggi si dice ancora di più: possiamo “buttare a mare” questo tempio, se ci è dato di incontrare il Padre nella persona di Gesù e aderendo a Lui.
grazie mille per i commenti di approfondimento senza i quali mi sarebbe rimasto solo “tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete”.
buona giornata a tutti
Mi è sembrata molto forte e centrata questa immagine del fico senza frutto, dove ci sono solo foglie. Una sintesi di quello che forse tenderebbe ad essere la nostra esistenza.
La fame di Gesù mi ha ricordato Giovanni 4 e la samaritana, la richiesta dell’acqua.In quel passaggio risulta che l’acqua viva in realtà viene dal Signore.
Forse anche di questo fico si può dire lo stesso. Il frutto che eventualmente può portare viene dal Signore.
Mi sembra bello che il Signore dona e poi viene a cercare, ne ha bisogno. Una relazione d’amore dove nel dono e nel bisogno c’è una certa reciprocità.
Nel Salmo 1 chi ‘si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte. Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua che darà frutto a suo tempo.’
Acqua e frutti con il Signore sembrano assicurati. Poi sembra però che venga a vedere cosa ne abbiamo fatto..
Anche in altri punti del vangelo si dice che l’albero, o il tralcio, che non da frutti viene tagliato e buttato nel fuoco.
Il testo di oggi mi colpisce per la radicalità di Gesù: non trova frutti… non avrà mai più frutti!
A quel punto il fico, sè medesimo, si secca, muore (non è Gesù a seccarlo!). In un istante. Non ha più ragione di esistere.
Questo pone una domanda urgente e gravissa alla nostra anima e alla nostra vita. Abbiamo dei frutti? Portiamo frutto? Altrimenti non serviamo a nulla, come il sale che non sala.
I frutti vengono solo se siamo attaccati all’albero, o siamo vicini al corso d’acqua come dice Maso, o se moriamo (come il chicco).
E’ importante la collocazione di questo racconto del fico seccato da Gesù, qui, dopo la cacciata dei commercianti dal tempio e prima della parabola dei figli alla vigna e dei vignaioli omicidi. E’ la economia antica che si risolve adesso nella pienezza del tempo. La “fame” di giustizia deve poter essere saziata, non è possibile che ci sia sterilità.
Il fico sterili “subito si seccò” alle parole di Gesù. Ricordando la parabola della vite e i tralci di Giov 15, troviamo che i tralci che “non rimangono in Gesù” vengono tagliati via e “si seccano”. È necessario rimanere il Lui (e che le sue parole rimangano in noi) per portare frutto: “Se le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato!”. Anche l’esaudimento della preghiera deriva dal custodire in noi la parola di Gesù, del Vangelo.
Nella seconda parte il Signore presenta ancora la potenza della preghiera fatta con fede. Nel passo parallelo, Marco aggiunge alla preghiera la necessità del perdono del fratello. La preghiera perché possa essere esaudita esige la riconciliazione con il fratello e il perdono dato.
La prima parte del brano di oggi (vv. 18-20) sembra essere un giudizio sul fico che non ha frutti, che è segno della antica economia, e dei capi e dei farisei, e di tutto ciò che non accoglie il Messia. Però nella seconda parte Gesù parla della preghiera. Colpisce l’accostamento di queste due parti. L’avvenimento narrato nella prima parte (il fico che viene seccato) avviene a causa della fede. Conviene che quel fico antico si secchi, con tutta la sua fiducia nella legge e nelle proprie energie, e che una nuova economia venga inaugurata. Come quando Paolo ci invita a far morire l’uomo vecchio e le sue opere, perché l’uomo nuovo possa essere generato in noi.
La sterilità del fico rimanda all’atteggiamento descritto al v. 15: i sommi sacerdoti che vedevano le meraviglie compiute da Gesù e i bimbi che lo acclamano, e si sdegnarono. Questo sdegno e lo scandalo che provano dicono “guardano e non vedono”, che non vogliono essere piccoli.
La sterilità del fico è segno di quella parte di Israele che non ha voluto credere, che si è indurito nel cuore, che accusa Gesù di essere un ministro di satana. La sterilità del fico è l’incapacità di stupirsi davanti alle meraviglie che il Signore compie. Questo interpella il nostro rapporto con il Signore e il suo regno, e con i piccoli.
I discepoli si stupiscono per ciò che accade al fico. Sono aperti a ciò che accade al regno inaugurato da Gesù. Questo gli dà occasione di riprendere l’insegnamento sulla preghiera dei cap. 5,6 e 7. In Matteo manca la spiegazione sul “Padre nostro” e ciò che troviamo in Luca 18 (la preghiera della vedova, e quella del fariseo e del pubblicano). In Mt c’è nei vv. di oggi un ulteriore insegnamento sulla preghiera: va accompagnata da un atto di fede. Si veda la preghiera insistente e filiale di Gesù nell’orto del Getsemani (Mt 26:38ss). I due argomenti di oggi si possono collegare: il rifiuto a vedere le meraviglie che il Signore opera è legato alla mancanza di fede nella preghiera. E questo lo percepiamo anche noi, quando manca la fede nella preghiera, essa diventa un fatto meccanico e scontato, che può anche essere fatto con il cuore indurito.