20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». 24 Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. 25 Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. 26 Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore 27 e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. 28 Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Seleziona Pagina
Cerchiamo di allontanarci da un’interpretazione solo etica del testo, per cogliere, sopratutto per la forza del ver.28, la sostanza del mistero cristiano. Portiamoci a considerare che il problema della madre e dei suoi figli (forse più in lei che in loro!), è che guardano “fuori dalla storia”, come Pietro quando in Lc.9,33, sul monte della trasfigurazione, chiedeva di fermarsi e stabilirsi su quel monte e su quell’evento, e quindi non sapeva quello che diceva, come qui, al ver.22, Gesù dice di questa mamma e dei suoi figli.
Gesù li riporta alla storia e quindi alla Croce che di Dio è nella storia la rivelazione e l’esperienza suprema! Come nel testo precedente sulla Pasqua, si ritorna alla centralità dell’evento e dell’opera pasquale: bere il calice! (ver.22). E quindi si torna al coinvolgimento dei discepoli (cioè di ogni cristiano) all’opera suprema di Gesù: “Potete bere il calice che io sto per bere?”. Qui ci aspetta la vera confessione e la suprema celebrazione della nostra fede!
Al ver.23 Gesù riconosce la loro disposizione a seguirlo fino al calice, ma sembra contradire quello che ha promesso e annunciato in Mt.19,28 sulla sorte di chi lo segue fino alla Pasqua. Penso sia perchè questa gloria finale non deve essere considerata un riconoscimento e un premio, ma ancora e sempre un dono di Dio. Del resto, non è forse dono supremo nella nostra vicenda storica lo stesso bere il calice di Gesù? Quando Lui ha detto al ver.23: “Il mio calice, lo berrete…” confermando quel loro “lo possiamo”, chiaramente indica che lo stesso “potere” di bere il calice è dono divino!
In questo orizzonte Gesù sembra quindi non condividere l’atteggiamento di sdegno verso i due fratelli, come manifestano invece “gli altri dieci”(Ver.24). Mi sembra bello e positivo quel “li chiamò a sè” del ver.25, dove ripropone la condivisione da parte dei discepoli del suo cammino pasquale. Il “metodo” del mondo è sbagliato, perchè oltre che essere fonte di dolore è anche inefficace. E’ una via istintiva del cuore umano – forse è la vera origine del “peccato originale” – ma è ben lontana dal potere di Dio. Tale potere Dio lo ha rivelato pienamente in Gesù! Anche nella Chiesa un vero “riformatore” è S.Francesco, ben più di Gregorio VII e della sua riforma della chiesa. Di questa solo pochi ricordano oggi qualcosa. Il dono che Dio ha fatto alla Chiesa attraverso S.Francesco è ancora oggi profezia luminosa della vita cristiana!
Così, l’evento pasquale di Gesù non è un “incidente” o un “episodio” pur immenso della storia. E’ invece il principio e la fonte della vera potenza di salvezza e di pace di tutta la storia umana.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Solo per Matteo la domanda di oggi è posta dalla madre dei figli di Zebedeo.
Ho visto che di nuovo solo Matteo parlerà ancora di lei. Una volta sola. Ed è al momento della croce e della morte di Gesù, quando è ricordata tra le donne che “avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo” (Mt 27,55-56)
Un bel cammino (il cammino appunto dietro a lui per servirlo) dalla domanda di oggi alla partecipazione alla vicenda di Pasqua di Gesù.
PRIMA PARTE
Davanti alla richiesta della madre di Giacomo e Giovanni – “Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno” – vediamo due diverse reazioni. Da una parte Gesù che pacatamente risponde “Non sapete cosa domandate” e li aiuta a fare passi avanti nella comprensione della Sua e loro pasqua, e dall’altra la reazione “sdegnata” degli altri Dieci.
Quello che il Signore dice loro: “I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo” sarà ben compreso da Pietro che lo riprenderà nella sua lettera: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1 Pet 5:2-3).
E’ l’invito alla misericordia che leggiamo in questi giorni in Efe (4:31-32): “Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.”
Questa diaconia vicendevole che i discepoli sono chiamati a rendersi il Signore la opera in noi a partire dalla Eucaristia, “nella quale è tutto … per Gesù, nell’atto operante in noi della sua morte di croce, della sua risurrezione ed ascensione alla destra del Padre, e del suo glorioso ritorno”.
v. 23 “…che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio”. Gesù con queste parole vuole collegare la conseguenza dell’amore di Dio di cui abbiamo letto nella parabola all’inizio di questo cap. in cui abbiamo visto che il padrone della vigna VUOLE dare a tutti, anche agli ultimi, la stessa ricompensa. Anche qui è così: Gesù non ha scelto pochi degni; questo sarebbe stato in contrasto con la volontà del Padre; quelli “per cui è stato preparato” sono tutti, i primi come gli ultimi.
SECONDA PARTE
Tra i discepoli, cioè anche tra noi, c’è/dovrebbe esserci un sistema alternativo di relazioni, perché c’è una origine alternativa. Diversamente dai grandi della terra, che governano con tirannia, c’è l’esempio del Figlio dell’uomo di cui leggiamo nei vv. finali: non è venuto per essere servito, ma per servire.
“Chi vuole essere grande tra voi…”: tutti possono “volere”, tanto che quanti si uniscono a questa origine della vita nuova, Gesù, non fanno nulla di propria iniziativa. Noi forse non vogliamo. Ma tutti sono chiamati a “volere”, secondo la partecipazione che Gesù offre alla sua via.
Questa madre chiede per i suoi figli una posizione di privilegio nella gloria di Gesù che sta per venire. Lo chiede per l’amore e la comunione che hanno con Gesù. Ma Gesù dice che il posto nella gloria è preparato da Dio: non possiamo sapere quanto ci siamo vicini, o pretendere di possederlo. Sarà Dio a chiamarci al posto che ha preparato per ciascuno di noi.
Oggi Gesù dichiara lo scopo della sua passione, di quello che per tre volte già ha preannunciato ai suoi discepoli, trovando in loro opposizione, incomprensione e tristezza. Gesù deve e vuole andare a Gerusalemme e soffrire molto per mano dei capi, essere disprezzato, percosso e ucciso, per dare la sua vita in riscatto per molti, perché tutti possano avere la salvezza per mezzo di Lui.
Colpisce che Gesù usi qui questa parola “riscatto” – che nell’A.T. troviamo riferita alla salvezza portata dal Messia (Salmi) e alle sofferenze del Servo di Yahwe, ma anche al “riscatto” degli schiavi nell’anno della misericordia – vicino all’insegnamento di “farsi schiavi” (v. 27). Farsi schiavi dei fratelli, è partecipazione alla passione di Gesù, per la quale molti vengono riscattati dalla schiavitù.
La richiesta della madre sembra ignorare la promessa che Gesù già ha fatto ai suoi Apostoli al cap 19:28: “quando il Figlio dell’ uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele”.
C’è un richiamo tra le parole “non sapete” del v. 22, e quelle del v. 25 “sapete”. Quello che non sanno è che quei posti sono un DONO del Padre. Quello che sanno/dovrebbero sapere è che il Figlio DONA la vita. I vv. 23 e 28 dicono i doni di Dio: i posti sono un dono di Dio; e il Figlio dona la vita.
La vita che viviamo è un dono, e la notizia pasquale di Gesù non deve portarci alla volontà di essere grandi, ma di essere piccoli e di servire.
Si leggeva nel testo di ieri che Gesù fece l’annuncio della passione prendendo i discepoli “in disparte”. Ci avvertono gli esperti che questa espressione è una chiave di lettura: indica che in quel momento non c’è intesa tra Gesù e i suoi, c’è incomprensione da parte del gruppo che lo segue. E difatti, ecco la madre dei due figli venire a fare questa richiesta: i primi posti per i suoi figli! Addirittura uno a destra e l’altro a sinistra, che vuol dire condividere gli stessi poteri di chi sta sul trono. Li capiamo, questi tre personaggi, poichè abbiamo tutti provato questo “disperato” bisogno di essere qualcuno, di contare, di essere riconosciuti importanti… Ma tra pochi capitoli vedremo che alla destra e alla sinistra di Gesù, nella glorificazione della croce, ci sarannmo solo due ladroni…