22 Giunsero a Betsàida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo. 23 Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. 24 Quegli, alzando gli occhi, disse: “Vedo gli uomini; infatti vedo come degli alberi che camminano”. 25 Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. 26 E lo rimandò a casa dicendo: “Non entrare nemmeno nel villaggio”.
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Mi sembra opportuno ricordare con voi il miracolo compiuto da Gesù su un uomo sordo e muto, alla fine del cap.7. Ci sembrava il miracolo della fede, con l’apertura dell’orecchio per ascoltare e lo scioglimento del mutismo per comunicare. Sembra di poter oggi cogliere nel miracolo sul cieco una conferma e un ampliamento del miracolo della fede, soprattutto se si tien conto della “cecità” sia dei farisei, sia degli stessi discepoli ai quali diceva nei versetti precedenti il nostro brano di oggi:”Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?”(Mc.8,18).
Anche in questa occasione Gesù trae in disparte l’uomo malato, come per sottolineare il carattere personale e intimo del dono della fede. E ancora compie dei gesti che ricordano i testi della creazione dell’uomo, come per proclamare una nuova creazione (ver.23).
Ci possiamo domandare il significato di questi “due tempi” del miracolo della fede. E possiamo azzardare un tentativo di spiegazione, sempre con molta prudenza. E possiamo considerare che la cosa non è del tutto nuova. Ad esempio nel miracolo della donna emorroissa in Marco 5, viene detto che quando lei tocca il mantello del Signore, il flusso di sangue si arresta. Ma poi è nella sua confessione al Signore e nelle parole di Lui che il miracolo veramente si compie. Così anche ora si può pensare al miracolo come ricupero della vista, e al compimento del miracolo stesso – con una nuova imposizione delle mani da parte di Gesù – che ora sembra donare a quest’uomo una pienezza di visione:”…ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa”. Tutte queste precisazioni sulla nuova condizione del malato inducono a pensare da una parte ad un ritorno alla condizione originaria che era stata stravolta dal peccato delle origini; e dall’altra ad una possibilità di vedere tutto nella luce nuova del Figlio di Dio.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Solo Marco ci racconta questa guarigione di Gesù, fatta in questo modo, ponendo per due volte le sue mani sul cieco. E lui, prima vedeva la gente, e alla fine vede perfettamente.
Forse si può collegare questo brano a 1Cor 13: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente”. Questo modo di curare il cieco è importante per ricordarci che alla fine vedremo “non parzialmente, in modo confuso”, ma perfettamente, e vedremo Dio e la sua misericordia, e saremo in comunione con Lui.
Inoltre è importante considerare che qui siamo a un punto cruciale del vangelo di Marco. A questo brano segue infatti la confessione di Pietro e l’insegnamento esplicito di Gesù ai suoi riguardo la sua prossima passione e morte. Oggi siamo quindi come alla conclusione della prima parte del Vangelo di Mc. Forse qui, curare questo cieco in questo modo, in due tappe, vuole farci comprendere che non basta che Gesù prenda il nostro stesso corpo e parli con noi.. E’ necessario che faccia qualche cosa ancora perchè noi possiamo vedere bene, perchè possiamo avere gli stessi occhi di Dio: bisogna che Lui vada a Gerusalemme a soffrire e morire e risuscitare. Senza questo, non possiamo vedere e considerere la bontà di Dio, nè riconoscere ciò che gli uomini sono agli occhi di Dio.
Nel brano precedente abbiamo letto come Gesù rimprovera la non comprensione dei discepoli, e il ricordo “parziale” di quanto Gesù ha operato con loro per le folle. Non consideravano il significato di quanto avevavo visto. Tanto che le ultime parole di ieri erano la domanda stupita, o l’esortazione di Gesù: “Non capite ancora?”.
Oggi la guarigione di questo cieco sembra riprendere lo stesso insegnamento. In particolare l’esortazione a interpretare le cose che vediamo. Così la guarigione “in due tappe” non ci è sembrata dovuta a una inefficacia dell’azione di Gesù, che “al primo colpo”, ottiene un risultato imperfetto. Anzi, ci è sembrato che anche questo primo risultato sia un insegnamento positivo per tutti. Il cieco vede “degli alberi che camminano”, ma rispondendo a Gesù che gli chiede cosa vedi, non dice: “Vedo degli alberi che camminano”, bensì interpreta “il segno” e dice “Vedo uomini, poichè vedo come alberi, e camminano!”. Anche la visione attuale, “in maniera confusa” se interpretata correttamente, ci dice chi è Gesù e chi siamo noi; fiduciosi che varrà il giorno Egli donerà a tutti di vedere Dio perfettamente, faccia a faccia.
Di questo miracolo mi colpiscono il rapporto personale, a tu per tu, e la concretezza del gesto (comuni anche al miracolo del sordomuto), ma soprattutto la gradualità, l’accompagnamento dalla cecità alla visione chiara, attraverso un cammino, attraverso una visione prima confusa e poi sempre più nitida. Mi colpisce che il miracolo, la visione della fede, non sia come una bacchetta magica, ma esprima una lenta azione pedagogica. E’ così per la fede. Non si acquisisce in un colpo solo. E’ un cammino. Così è per l’emorroissa; così è per il padre del ragazzo posseduto da uno spirito muto, che incontreremo nel cap.9 «Credo, aiutami nella mia incredulità» (Mc 9,24). E’ la pedagogia del Signore, che non si impone, che mostra una infinita pazienza e attenzione ai nostri tempi. Basta pensare a Pietro e a Tommaso.
Fate schifooo