35 Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, continua solo ad aver fede!”. 37 E non permise a nessuno di seguirlo fuorchè a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. 39 Entrato, disse loro: “Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. 40 Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41 Presa la mano della bambina, le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”. 42 Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43 Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
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L’evidente unità del testo ha al suo interno, tra le parole di ieri e quelle di oggi, un brusco cambiamento. Ieri ci impressionava l’umile immersione di Gesù nella vicenda umana, e addirittura la sua “obbedienza” alle ferite e alle speranze di tale vicenda povera e bisognosa di salvezza, oggi tutto assume un tono di grande tensione, di delicatezza e di scelta severa da parte del Signore. Ci troviamo evidentemente dentro la scommessa suprema circa la condizione umana e la sua sorte ultima.
Al ver. 35 sembrano prevalere l’ovvietà e il buonsenso della rassegnazione di fronte all’inevitabile. La morte non si può che accettarla. Il limite severo posto dalla morte non può essere valicato neppure dal “Maestro”. Ed è a questo punto che Gesù assume risolutamente la regia, l’interpretazione e la prassi della vicenda, tutto consegnando all’unica forza e all’unico atteggiamento possibile di fronte all’inevitabile della morte: la fede. E, accanto a questo, la delicatezza e la preziosità di una vicenda che non si può consegnare ad una folla generica, ma è possibilità ed esperienza propria di ogni persona che a tale evento sia esplicitamente eletta e invitata. Così il ver. 37.
Nei confronti della “gente” resta tuttavia la contestazione circa la ritualità funebre, ancestrale reazione di fronte all’evento della morte, sempre intrisa di elementi di scongiuro e di esorcismo, celebrazioni del dolore che si mostrano legate ad istintive paure e potenze collegate al dato irrimediabile della morte. Anche noi cristiani dovremmo pensarci un po’! A conferma di ciò è molto eloquente il passaggio repentino, a motivo delle parole di Gesù – “..la bambina non è morta, ma dorme” – dal lamento funebre alla derisione. Qui si svela la connessione malcelata tra l’inevitabilità della morte e l’inanità del rito funebre, che anzi può contenere in sé addirittura un’affermazione esplicita e positiva della fine. Anche certe polveri gettate al vento!
Il ver. 40, con la cacciata di tutti fuori dalla casa o perlomeno dalla stanza dove giace il corpo della fanciulla, conferma la delicatezza quasi aristocratica della via della fede, strettamente connessa con la preziosità irripetibile delle relazioni affettive (il padre e la madre), e con la comunione profonda con il Signore della fede (quelli che erano con lui). Il miracolo si impone contemporaneamente come delicatissimo e quindi quasi incomunicabile (“…che nessuno venisse a saperlo”, il che è addirittura illogico!), e tuttavia reale: “..la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni…ordinò di darle da mangiare”. Oggi chiedo al Signore che chiunque passi per queste povere noticine, ma soprattutto abbia il dono di pregare sulle parole di questa memoria evangelica, vi trovi o vi scopra eventi ed esperienze profonde per le quali si è già passati e che ora si illuminano per la potenza della parola di Gesù.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Mi guiderai con il tuo consiglio
e poi mi accoglierai nella tua gloria.
Chi altri avrò per me in cielo?
Fuori di te nulla bramo sulla terra.
Vengono meno la mia carne e il mio cuore;
ma la roccia del mio cuore è Dio,
è Dio la mia sorte per sempre.
Salmo 72
“…Non è morta, dorme…”: è così, ormai, per tutti noi, destinati a non fare l’esperienza della morte (nonostante la fine della nostra parte biologica), e a risvegliarci invece nella pienezza della vita divina. – “Talità kum”: che meraviglia sentire una piccola eco delle parole aramaiche che Gesù ha pronunciato nel corso della sua esistenza; forse queste sono state conservate perché danno l’idea di una forza misteriosa in colui che le pronuncia. “Io ti dico, alzati!”: crediamo che Dio le dirà anche a noi queste parole; crediamo che in Gesù la morte è vinta.
In tutto il capitolo 5 ho visto una grande attenzione alla malattia e alla guarigione.
L’indemoniato Legione, Giairo (sua figlia) e l’emorroissa sono stati tutti salvati e sanati dal Signore.
Per l’indemoniato e Giairo l’atteggiamento è ‘gli si gettò ai piedi’ mentre per l’emorroissa l’incontro avviene con lei che ‘gli tocco il mantello’.
Il poco eroismo di questi atteggiamenti mi ha dato un pò da pensare. A certi modelli di vita cristiana fatti di virtù, di slancio apostolico, di bravura.
Dal capitolo 5 mi è parso invece di capire che la strada per l’incontro salvifico con il Signore è invece l’atteggiamento umile di gettarsi ai Suoi piedi, di cercare di toccare almeno il mantello..
Con nel cuore la consapevolezza di essere malati e di poter essere guariti solo dal Signore. Come le parole del canto:
‘vieni o amico dell’anima mia ,
vieni o Padre Misericordia mia,
vedi malato è il mio cuore
l’anima soffre d’amore
vieni ti prego guariscila mio Dio
mostrale il tuo splendore’.
Confidando nelle parole di Gesù ‘Non temere, continua solo ad avere fede!’.
Mi sembra molto bella la presenza al miracolo dei genitori della bambina e dei tre discepoli, che rappresentano la comunità cristiana. La ragazzina di dodici anni è bloccata nella sua crescita. La attende una vita da schiava. Invece di sbocciare è morta. Ma, presa per mano da Gesù, risorge, comincia a camminare. Gesù ordina ai genitori di darle da mangiare. Invita i genitori, aiutati dalla comunità, a dare cibo, a dare vita alla bambina. E’ una liberazione, questa. La bambina potrà crescere libera, essere se stessa, non più oppressa dalla legge e dalle consuetudini sociali del tempo.