1 Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: 3 «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 4 Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. 5 Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. 6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 7 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. 8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. 9 Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10 Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.
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Com’è ricca l’introduzione dei versetti 1-2! Gesù sale sul monte: è il luogo dell’incontro e della comunicazione con Dio. I discepoli e le folle non devono tenersi “a debita distanza”, ma entrano con Gesù nella sfera di Dio. Gesù “apre la bocca” come la Sapienza divina dell’Antico Testamento e proclama “la carta costitutiva” del Regno di Dio (noi dovremmo sapere a memoria questa pagina del Vangelo). La prima parola che esce dalla sua bocca è “Beati”! E’ un annunzio, una promessa di felicità. E’ così che Dio vuole gli uomini, non certo sofferenti per privazioni o sacrifici… I primi destinatari della promessa sono i poveri, e la certezza è che Dio si prende cura di loro: in questo consiste il suo “regnare”. Su come intendere questi “poveri in spirito” mi affido al commento di Giovanni.
Mi sembra prezioso tener conto della prima annotazione del nostro brano: “Vedendo le folle …” (ver.1). Le folle, che seguono il Signore e che abbiamo già incontrate ai vers.23-25 del precedente capitolo, ora sono sotto il suo sguardo e sembrano rappresentare un’umanità povera e malata, forse addirittura segno e rappresentanza dell’intera umanità, colta nel suo bisogno di essere salvata.
Sembra che tali folle e il loro cammino siano l’oggetto privilegiato dell’insegnamento che Gesù offre ai suoi discepoli, e quindi, oggi, anche a noi: messosi Egli a sedere, “gli si avvicinarono i suoi discepoli”, che abbiamo incontrato nei quattro già nominati in Mt.4,18-22.
“Prendendo allora la Parola, li ammaestrava dicendo ” ….”. Inizia oggi questo insegnamento del Signore che ci condurrà, essendo noi stessi tra i discepoli che Egli ammaestra, sino a tutto il cap.7.
L’inizio è così importante e prezioso da sembrare l’esordio di una specie di “carta costituzionale” di tutto il suo insegnamento.
Così è il nostro brano di oggi che viene qualificato come “le beatitudini”, che accompagnano ad ogni versetto la Parola che oggi ci viene donata!
Il termine “beato” sembra qualificare il discepolo che riceve dal Signore il dono fondamentale e fondante di tutto il suo insegnamento!
Esprime un evento e una condizione assolutamente “gratuita”: altrimenti irraggiungibile dalla realtà umana! Puro straordinario dono del Signore!
La prima di queste beatitudini mi sembra il dato fondamentale del testo di oggi, ma anche di tutto questo “discorso” che, per il luogo dove il Vangelo colloca l’evento – “Gesù salì sulla montagna” (ver.1), dalla tradizione riceve il titolo di “Discorso della montagna”!
I primi “beati” annunciati e colti dal discorso del Signore sono “i poveri in spirito”(ver.3)! Una certa tradizione decadente e pericolosa ha individuato questi “poveri in spirito” come persone “interiormente povere”. L’affermazione ha una sua verità, ma corre il grande rischio di essere un riferimento “astratto”, senza ricadute reali e concrete sulla persona e sulla vita di questi “poveri in spirito”.
Io non sono capace, non sono assolutamente in grado di offrirvi una spiegazione soddisfacente, ma provo a balbettare che “il povero in spirito” è persona che vive sempre dominato e guidato da tale consapevole “povertà”, e come tale ha sempre bisogno di essere salvato, aiutato, guidato …. dal Signore! Non va dimenticato che il mio stesso essere un peccatore è la mia povertà, la più grave delle mie povertà!
Ed è Gesù il Signore che mi guida e mi conduce in quella stessa povertà che come Figlio di Dio Egli ha assunto nella sua obbedienza al Padre, che nel Figlio rivela e dona all’umanità il divino splendore di una umanità nuova, non più figlia di Adamo, ma ora, in Gesù e per Gesù, veramente “Figlia di Dio”!
Gesù è il Figlio di Dio, e come tale tutto riceve dal Padre e in tutto compie la volontà del Padre.
Tale figliale beatitudine è quella che Dio dona all’umanità nella prima delle beatitudini!
La connessione tra povertà e “salvezza” è assoluta: ho sempre bisogno che Dio mi salvi e mi liberi.
Ricordiamo ancora una volta che il nome “Gesù” significa nella lingua ebraica “Dio salva” o “Salvezza di Dio”!
La povertà dunque, per la fede ebraica e cristiana è elemento essenziale della relazione sia personale che collettiva (cioè di tutto il popolo!) con Dio, che ha liberato i nostri padri dall’Egitto, li ha salvati e liberati da tante prove e sventure, e che in Gesù, nella pienezza dei tempi, libera l’intera umanità dal male e dalla morte.
Siamo ben lontani da una teologia razionale e razionalistica, lontana dalla fede ebraica e quindi dalla fede cristiana! Una cattiva “teologia” che vuole affermare lo stretto legame tra me, le mie azioni , i miei peccati e i miei meriti, e tutto il mio impegno e sforzo per meritare il paradiso.
Noi invece diciamo che il paradiso non è una conquista, ma un dono !
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.