10 Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». 11 Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12 Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13 Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14 Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. 15 Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca! 16 Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17 In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
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Una nota della bibbia dice che il termine parabola “ha diversi significati: similitudine, racconto allegorico, metafora, proverbio, indovinello”. Possiamo fare il tentativo, soprattutto in questo brano del Vangelo secondo Matteo, di cogliere la complessità del termine. In certo senso, una complessità voluta, intenzionale, tendente ad affermare che ciò che per qualcuno è illuminazione, per altri è nascondimento: ci sono situazioni, avvenimenti e realtà, capaci sia di illuminare sia di nascondere.
Vediamo se possiamo cogliere qualcosa di questo nella complessa risposta di Gesù alla domanda dei discepoli: “Perché a loro parli in parabole?” (ver.10). Egli subito contrappone il dono fatto ai discepoli con la situazione di chi tale dono non ha ricevuto. Questo è importante perché afferma dunque con sicurezza che la conoscenza della parabola e del suo significato non è capacità nostra, ma, appunto, “dono”, che può essere dato, o non dato. Così al ver.11.
Il ver.12 accentua l’affermazione dicendo che, essendo un dono, la conoscenza della parabola enfatizza la sua gratuità, e il dono sarà sempre più dono, mentre ogni altro tentativo di capire da soli farà naufragio: “…a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha”. Dunque, in questa prospettiva, la parabola, più che comunicare, nasconde: “A loro parlo con parabole, perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono” (ver.13).
La profezia di Isaia 6,9-10 conferma le parole di Gesù ed esplicita che la parabola diventa giudizio divino che impedisce di comprendere, di convertirsi e di essere guariti. Insomma, se è impresa nostra, non può avere esito positivo. I vers.16-17 sono invece il gioioso annuncio del dono del Signore. Gli occhi dei discepoli sono beati, perché ricevono il dono di vedere, e beati sono i loro orecchi, perché ascoltano. Per i discepoli di Gesù si compie e si attua pienamente la grande attesa e la grande profezia di Israele, e il dono di Dio è finalmente tra noi e in noi.
Mi permetto di aggiungere un mio ulteriore piccolo commento: la creazione e la storia sono una grande parabola! Tutto è dunque luogo e manifestazione del mistero di Dio: dal gesto del seminatore al frutto che ne consegue. Ma tutto questo non è conquista umana, ma grazia del Signore.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
La beatitudine del dono ricevuto.
Torna in questo Vangelo di Matteo anche in occasione della professione di Pietro che si trova a dire una cosa immensa: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Matteo è l’unico dei sinottici a riportare la risposta di Gesù: “Beato sei tu, Simone figlio di Giona, poiché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.” (Mt 16,17).
Beato tu! Beati voi!