1 In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, chiamò a sé i discepoli e disse loro: 2 «Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. 3 Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano». 4 Gli risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?». 5 Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette». 6 Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. 7 Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli. 8 Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. 9 Erano circa quattromila. E li congedò. 10 Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.

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Sulle ragioni per cui Marco e Matteo hanno due memorie del miracolo dei pani, le bibbie tendono a proporre la diversità dei luoghi, che, con qualche altra osservazione – per esempio l’osservazione che “alcuni di loro sono venuti da lontano” (ver.3) – suggeriscono che il primo miracolo è stato fatto nella Terra, mentre il secondo viene compiuto in terra straniera e quindi per genti straniere. Un estensione dunque dal popolo eletto alle genti. A me sembra sempre più evidente un’altra diversità tra i due racconti: mentre il primo è stato un miracolo “non strettamente necessario”, ma Gesù lo ha in certo senso “imposto”, qui il miracolo è assolutamente urgente, perché senza di esso “verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano”. Mentre in Marco 6,33-44 i discepoli proponevano che la gente andasse a procurarsi nei villaggi intorno il cibo, qui Gesù ha “compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare” (ver.2), e appunto, “se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino” (ver.3). E qui i discepoli condividono la preoccupazione di Gesù: “Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?” (ver.4).
Vedo quindi tra i due miracoli una connessione profonda, perché il primo si caratterizza come una “liturgia”, mentre questo di Marco 8 sembra trarre una conseguenza stretta con la storia e i suoi drammi. In termini specifici, il dramma della fame! Penso all’espressione patristica: “Se abbiamo condiviso il pane celeste, come non condivideremo il pane terreno?”. A me sembra quindi che il miracolo di Marco 6 in certo senso generi ed esiga il miracolo di Marco 8! Corrisponde quindi, alla proposta dei discepoli di mandare la gente a procurarsi il cibo, il fatto che qui è Gesù stesso ad esprimere la sua preoccupata compassione per gente esposta a morire di fame! Vedo dunque affermato il legame profondo tra fede e storia, tra liturgia e vita! E questo mi sembra prezioso e importante! La fede cristiana non è evasione dalla storia, ma è l’ingresso potente di Dio nella storia: la storia di ciascuno e la storia di tutti. E mi sembra prezioso che entrambi i miracoli siano visti come “opera di Dio”. Le somiglianze tra i due prodigi esaltano la meraviglia delle loro diversità! Se vogliamo dare un senso “eucaristico” al duplice miracolo, è evidente che si “tradisce” il senso profondo del primo miracolo, se non si condivide la compassione di Gesù nel secondo miracolo!
Mentre il primo miracolo vuole quindi sottolineare la preziosità della liturgia che anche oggi abbiamo il dono di poter celebrare, il secondo miracolo grida oggi l’essenziale connessione tra fede e amore. Il prodigio della liturgia è chiamato a diventare la fonte del nuovo volto della storia. Non possiamo celebrare la Messa e poi nulla pensare e fare per la grande fame delle moltitudini.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Mi piacciono i vv. 2-3 perché ci danno una piccola indicazione di quali fossero i pensieri e i sentimenti di Gesù. Prima di tutto la sua compassione: gli si stringe il cuore (come dice un commento) al vedere questa gente che lo segue da giorni e non ha più nulla da mangiare. Un’immagine della compassione del Padre, che ci vede affamati di cibo ma anche di verità e d’amore. – Le parole di Gesù ci fanno vedere come egli sia attento alla nostra realtà, alle nostre situazioni: anche quelle materiali, poiché egli ci vuole felici qui, nella realtà umana, non solo nella vita futura. – Nei versetti seguenti noto due particolari: intanto Gesù chiede che le persone si sdraino come si faceva allora a mensa: è la posizione dei signori che venivano serviti a tavola. Con Gesù tutti sono signori, in piena libertà e dignità, e i servi sono i discepoli che distribuiscono pane e pesci. Poi, sui pani non c’è la benedizione ma il ringraziamento: grazie al Padre, fonte di ogni bene e di ogni dono perfetto.
Tutti, anche quanti seguono e ascoltano Gesù e stanno con lui, siamo vinti e dominati da una mortale debolezza, da una totale incapacità di bastare a noi stessi: abbiamo bisogno di tutto. E la compassione sovrabbondante del Signore, che ci mantiene in vita, ci giunge esclusivamente attraverso il dono e il servizio gratuito dei nostri fratelli. È un movimento reciproco nel quale si realizza quel rendimento di grazie ricordato da Roberto: riceviamo e a nostra volta doniamo cose buone e benedette e abbiamo la responsabilità di trasmettere con abbondanza solo cose buone che sostengano i fratelli nel cammino. Il resto non viene certo da Gesù!