45 E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. 46 Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. 47 Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. 48 Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. 49 Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, 50 perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 51 E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, 52 perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito. 53 Compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono. 54 Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe 55 e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse. 56 E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.
Seleziona Pagina
COMMENTO Famiglie della Visitazione:
Mc 6,30-56
È interessante nel vv.30-33 vedere alcuni aspetti della vita della comunità dei discepoli insieme a Gesù. In Mc 3,14 si diceva: ne costituì Dodici – che chiamò apostoli – perché stessero con lui e per mandarli a predicare. Il resoconto sulla missione conferma quello che si vedeva già nel racconto dell’invio: la comunione dei discepoli con Gesù (stare con lui) è un elemento essenziale, da cui discende il dono di essere chiamati a partecipare alla missione. Il fatto di riferire tutto (v.30) dà il senso della restituzione e della gratitudine. Anche l’invito ad andare a riposarsi insieme va nella direzione della profonda comunione di vita: c’è la folla, c’è tanto lavoro da fare ma ci vuole un po’ di tregua per tener viva la loro comunione. Ma la cosa non riesce, la folla li ha preceduti.
Ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore (v. 34). Questa espressione rimanda a Num 27,17, quando Mosè, che non può guidare il popolo dentro alla terra promessa, chiede a Dio di non lasciare il popolo senza pastore. C’è quindi un riferimento all’Esodo del popolo di Israele, Gesù si rivela come il vero pastore invocato da Mosè, un pastore pieno di compassione per il suo popolo, che guiderà il popolo della nuova alleanza verso il regno di Dio.
Al v. 35 viene introdotto il tema del cibo. A differenza degli altri racconti, come quello che troveremo in Mc 8, ci sono diverse possibilità di procurarsi il cibo. Il luogo è deserto, ma non lontano ci sono dei villaggi, la gente può raggiungerli e fare lì la spesa. Anche di fronte alla indicazione di Gesù (Voi stessi date loro da mangiare), c’è la proposta che i discepoli vadano ad acquistare per tutti duecento danari di pane. Ma l’idea di Gesù è di partire dai cinque pani e i due pesci che qualcuno aveva con sé.
Gesù chiede ai discepoli di organizzare una disposizione della folla meno anonima, più familiare. Il luogo è deserto ma non arido e ci si può sedere sull’erba verde; Gesù chiede che ci si sieda a gruppi non troppo grandi. Cinquemila persone a gruppi di cinquanta formano cento cerchi: la folla è diventato un grande insieme di gruppi, in cui ci si può guardare in faccia. Gesù ha organizzato una liturgia grandiosa e nello stesso tempo familiare: nessuna delle nostre grandi cattedrali è adatta ad ospitare questo tipo di liturgia!
I gesti che Gesù fa prima della distribuzione del cibo sono quelli dell’ultima cena, gesti che dovevano essere ben noti alla folla radunata attorno a Gesù, quelli che fa il capofamiglia nella celebrazione domestica della pasqua in ogni famiglia ebraica. C’è una differenza: alzò gli occhi al cielo (v.41), per rivolgersi direttamente al Padre, come succede anche prima di altri miracoli. Sì, perché sfamare cinquemila persone con cinque pani e due pesci è un miracolo, che però sembra realizzarsi nell’atto di spezzare e dividere. Tutti mangiarono a sazietà (v. 42); di più, ci sono i dodici cesti dei pani e pesci avanzati. Tutto questo avviene non con il miracolo della “moltiplicazione” dei pani, ma con lo spezzare i cinque pani in cinquemila pezzi! E anche questo è un bel miracolo! Un miracolo di piccolezza dove tutti vengono sfamati!
Questo pasto assieme al popolo in quel luogo deserto anticipa il banchetto eucaristico dell’ultima cena e prefigura il banchetto messianico della fine dei tempi: Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (Mt 8,11).
Questo “spezzare” in modo che ognuno possa mangiare ci ricorda più direttamente e profondamente la liturgia eucaristica ed è un miracolo dedicato più profondamente ai poveri!
Non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito: il v.52 collega questo brano al precedente. Succede qualcosa di simile nel cap.8 dopo il secondo miracolo dei pani: i discepoli sulla barca si accorgono di non avere pane e Gesù li rimprovera per non avere capito quello che era appena successo. Comunque sia, il miracolo dei pani diventa uno snodo fondamentale del cammino di fede, forse perché, come emerge chiaramente dalla versione del vangelo di Giovanni, c’è un orizzonte puramente terreno della sua interpretazione e Gesù vuole che si vada oltre: datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà (Gv 6,27).
La situazione che si è creata quella sera a seguito della decisione di Gesù del v. 45 è questa: la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra (v.47). È la realtà della comunità cristiana dopo l’ascensione al cielo di Gesù. È in mezzo ad una vicenda a volte tempestosa che coinvolge tutta l’umanità, solo la fede darebbe la coscienza che Gesù continua ad essere presente, ma succede che il cuore si indurisce e impedisce di capire, di comprendere la realtà nel modo giusto.
Gesù vede la situazione di difficoltà e interviene. Il fatto di camminare sul mare e di volere passare oltre alla barca come per fare da guida, evoca il passaggio del Mar Rosso dietro a Mosè, quello che per Israele è il paradigma di ogni intervento di Dio per salvare il suo popolo. La prima reazione dei discepoli è ancora di paura: il testo suggerisce che sia proprio l’indurimento del cuore che ha impedito loro di vedere Gesù e pensare che sia un fantasma. La paura è una compagna inseparabile dei credenti di poca fede: la pazienza di Gesù, le sue parole di incoraggiamento sono la cura indispensabile per questa fragilità.
I vv. 53-56 ci portano di nuovo al precipitarsi della gente attorno a Gesù, appena si viene a sapere della sua visita. Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe (v.54): quel subito sembra quasi in contrapposizione alla difficoltà dei discepoli di vedere Gesù nella notte precedente. Siamo in pieno giorno, ci si vede bene ma soprattutto la spinta che deriva dal desiderio di essere liberati dal male è più forte di ogni ostacolo. Sono bellissime le descrizioni di questo passaggio di Gesù in mezzo a tanta gente che sta male. È da notare la frase finale, quanti lo toccavano venivano salvati (v.56), dunque guariti profondamente da ogni forma di male che limita e minaccia ogni esistenza umana.
Dio vi benedica e voi pregate per noi. Francesco e Giovanni