26 Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29 e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». 30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
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COMMENTO Famiglie della Visitazione:
La parabola ancora prende le mosse dal gettare il seme sul terreno, ma la prospettiva è diversa dalla parabola del seminatore: l’attenzione è su quello che succede dopo la semina. Fino alla mietitura quello che fa l’uomo non ha influenza diretta sulla riuscita del seme, perché il seme germoglia e cresce anche mentre lui dorme. Come, egli stesso non lo sa (v.27). Sapere o non sapere, non cambia nulla, perché il seme ha una sua forza interna, autonoma che lo porta a diventare una spiga di chicchi pieni. Dunque la parabola celebra la potenza del seme della parola e invita alla speranza: l’obiezione che niente cambi nella nostra vita dopo aver accolto il seme della parola è sbagliata, la festa della mietitura arriva.
Ma che tipo di uomo è quello prefigurato dalla parabola? C’è un senso quasi provocatorio di libertà trasmesso dall’immagine dell’uomo che ha seminato: la sua umile attesa riempie tutta la sua vita.
La lettera di Giacomo indica la virtù della costanza come sostegno di questa attesa: siate dunque costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge (Gc 5,7).
La parabola del chicco di senape celebra invece la grandezza della pianta che nasce, rispetto alla piccolezza del seme. È ancora un invito alla fede e alla speranza: il regno di Dio non si impone con la forza, si presenta in una forma piccola e modesta, ma ha in sé la potenza di crescere fino a diventare una pianta molto grande, che può offrire riposo e protezione.
Il brano si conclude ricordando ancora il senso dell’insegnamento tramite le parabole, adatte a comunicare il mistero del regno di Dio, piccolo nelle sue apparenze iniziali, ma misteriosamente potente nei suoi sviluppi, destinato a cambiare profondamente il cuore di chi ascolta e ad allargarsi fino a portare una speranza nuova per tutta l’umanità.