13 Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. 14 Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». 15 Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». 16 Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 17 Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.
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COMMENTO Famiglie della Visitazione:
I capi del popolo i membri del sinedrio messi allo scoperto dalla parabola della vigna raccontata da Gesù mandano i farisei e gli erodiani per provocare Gesù e avere pretesti per denunciarlo alle autorità romane. Esaurita la adulazione iniziale, si va subito al punto: È lecito o no pagare il tributo a Cesare? L’argomento si presta bene allo scopo. Questo tributo (un denaro a testa) non era odioso tanto per il suo valore economico, ma come atto di subordinazione all’autorità imperiale che occupava la terra santa.
Conoscendo la loro ipocrisia: Gesù sa che i suoi interlocutori odiano quel tributo ma che per convenienza non osano contestarlo. Solo per malizia sperano in una risposta critica di Gesù, non per schierarsi eventualmente con lui contro l’autorità imperiale, ma per consegnarlo a quell’autorità accreditandosi come sudditi zelanti: questa è la grande ipocrisia.
Anche questa volta, Gesù risponde alla domanda con un’altra domanda. Non è un gesto di sfida, è un gesto di verità, vuole che i suoi interlocutori si rendano conto della loro malizia. Dopo essersi fatto portare la moneta del tributo, dice loro: Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono? Quella posa da persona sacra dell’imperatore e l’iscrizione che inneggia a lui hanno un carattere idolatrico. Ma, alla fine, di chi è quella faccia? È di Cesare, gli rispondono, in realtà del “Cesare” di quel momento, cioè di Tiberio Cesare. Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio: Gesù vuole separare i due aspetti della questione, uno contingente e relativo e uno di assoluta preminenza. Cesare non è un dio: si sa che il potere politico ha sempre la tentazione di sconfinare nel sacro, di accreditarsi presso chi gli è sottomesso facendo leva sui sentimenti religiosi, tutto questo è pericoloso, per cui non bisogna rendere a Cesare niente di più di quello che gli è proprio. La creatura umana, l’uomo e la donna in cui Dio ha impresso la sua immagine mai dovrà essere consegnata a Cesare in qualunque forma di asservimento totalitario.
Il padrone della vigna mandava i suoi servi perché i vignaioli gli dessero quello che a lui era dovuto: la vigna l’aveva costruita lui. Lui, come nell’episodio del fico, andava in cerca dei frutti perché tutta la creazione, la vigna e il fico sono stati fatti nella logica suprema dell’amore, che ha in sé il principio della fecondità, di una vita che ha senso se si dona, se porta frutto. Ecco, sembra dire Gesù, la cosa decisiva: a Dio bisogna rendere quello che è suo, che gli è proprio, tutta la nostra vita.
E’ importante sottolineare il cambiamento di significato di un verbo: Dal “pagare”, confermato dallo stesso verbo – nella traduzione italiana – del ver.14, che semplicemente dice “dare”, si passa,, al ver.17, al verbo “restituire”, che sottolinea l’ “appartenenza” a Cesare: il “suo” va restituito a Cesare, ma non gli va restituito quello che non è “suo”! E soprattutto quello che non è suo, perché è del Signore! La moneta a Cesare, ma la fede e l’adorazione e il vincolo di comunione, a Dio e solo a Lui!
L’ammirazione finale dei farisei ed erodiani non deve sorprendere: la risposta di Gesù forse, anche solo per un attimo, ha fatto breccia nel cuore di quelle persone.
Dio ti benedica. E voi pregate per noi.
Francesco, Giovanni e Giancarlo M.