35 Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è privo di mezzi, aiutalo, come un forestiero e inquilino, perché possa vivere presso di te. 36 Non prendere da lui interessi, né utili; ma temi il tuo Dio e fà vivere il tuo fratello presso di te. 37 Non gli presterai il denaro a interesse, né gli darai il vitto a usura. 38 Io sono il Signore vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d’Egitto, per darvi il paese di Cànaan, per essere il vostro Dio. 39 Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; 40 sia presso di te come un bracciante, come un inquilino. Ti servirà fino all’anno del giubileo; 41 allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri. 42 Poiché essi sono miei servi, che io ho fatto uscire dal paese d’Egitto; non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi. 43 Non lo tratterai con asprezza, ma temerai il tuo Dio. 44 Quanto allo schiavo e alla schiava, che avrai in proprietà, potrete prenderli dalle nazioni che vi circondano; da queste potrete comprare lo schiavo e la schiava. 45 Potrete anche comprarne tra i figli degli stranieri, stabiliti presso di voi e tra le loro famiglie che sono presso di voi, tra i loro figli nati nel vostro paese; saranno vostra proprietà. 46 Li potrete lasciare in eredità ai vostri figli dopo di voi, come loro proprietà; vi potrete servire sempre di loro come di schiavi; ma quanto ai vostri fratelli, gli Israeliti, ognuno nei riguardi dell’altro, non lo tratterai con asprezza. 47 Se un forestiero stabilito presso di te diventa ricco e il tuo fratello si grava di debiti con lui e si vende al forestiero stabilito presso di te o a qualcuno della sua famiglia, 48 dopo che si è venduto, ha il diritto di riscatto; lo potrà riscattare uno dei suoi fratelli 49 o suo zio o il figlio di suo zio; lo potrà riscattare uno dei parenti dello stesso suo sangue o, se ha i mezzi di farlo, potrà riscattarsi da sé. 50 Farà il calcolo con il suo compratore, dall’anno che gli si è venduto all’anno del giubileo; il prezzo da pagare sarà in proporzione del numero degli anni, valutando le sue giornate come quelle di un bracciante. 51 Se vi sono ancora molti anni per arrivare al giubileo, pagherà il riscatto in ragione di questi anni e in proporzione del prezzo per il quale fu comprato; 52 se rimangono pochi anni per arrivare al giubileo, farà il calcolo con il suo compratore e pagherà il prezzo del suo riscatto in ragione di quegli anni. 53 Resterà presso di lui come un bracciante preso a servizio anno per anno; il padrone non dovrà trattarlo con asprezza sotto i suoi occhi. 54 Se non è riscattato in alcuno di quei modi, se ne andrà libero l’anno del giubileo: lui con i suoi figli. 55 Poiché gli Israeliti sono miei servi; miei servi, che ho fatto uscire dal paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio”.
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Possiamo preliminarmente osservare che tutta l’etica delle relazioni interpersonali è governata dal rapporto con Dio, o meglio da quello che Dio ha fatto per il suo popolo e quindi dalla relazione che Egli ha stretto con loro. Di più: la relazione positiva con il fratello è in certo modo la celebrazione del timor di Dio. Osserviamo per esempio il ver.43:”Non lo tratterai con asprezza, ma temerai il tuo Dio”; trattando bene il tuo fratello tu temi Dio; e viceversa, temendo Dio, non puoi che trattar bene il tuo fratello. Vengono descritte nel nostro testo situazioni diverse, che nel loro insieme vogliono affermare l’assoluto privilegio di quella situazione fraterna, che in Cristo si compirà nella rivelazione della Paternità universale di Dio, e quindi nell’esigenza assoluta di trattare come fratello ogni figlio di Dio, cioè ogni uomo e donna della terra.
Nel caso di un fratello che cada in povertà (vers.35-38), l’indicazione netta è quella di una accoglienza e protezione totali, che arrivano fino alla convivenza del fratello:”..possa vivere presso di te (ver.35)…fa’ vivere il tuo fratello presso di te (ver.36)”. E’ singolare e interessante che la relazione con questo fratello povero abbia il suo riferimento nella relazione da tenere con il forestiero, che come sappiamo deve essere trattato ricordando come i padri sono stati trattati male in Egitto,e come a noi è chiesto un comportamento opposto.
Nel caso che la povertà del fratello sia tale da costringerlo a farsi schiavo del fratello (vers.39-43), la norma è quella di non trattarlo come schiavo, e in ogni caso di porre termine alla sua schiavitù in occasione del giubileo. E’ bello che si dica al ver.42 che la ragione di ciò non è una qualsiasi forma di filantropia o di progresso civile e culturale , ma più semplicemente e profondamente il fatto che gli ebrei, dice il Signore,”sono miei servi, che io ho fatto uscire dal paese d’Egitto; non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi”(ver.42). La signorìa di Dio è la vera garanzia della libertà delle persone (altrimenti si fa alla svelta a trovare qualche strada per ridurle in schiavitù!).
A questo punto (vers.44-46), si dice che per lo schiavo straniero non esiste uno statuto speciale, e valgono le norme generali della schiavitù (vers.44-46). Consideriamo importante anche questa affermazione, a conferma che solo la relazione con Dio e tutto quello che tale relazione porta di conseguenza è – o dovrebbe essere – la maggiore garanzia della condizione di libertà e amore che deve guidare la storia umana. Altrimenti è facile che la fraternità predicata dai padri dell’illuminismo sfoci alla svelta nell’impero napoleonico. E da questo non è certamente esente la comunità credente, che è chiamata a convertirsi incessantemente alla Parola che non può mai pensare di possedere come verità affermata e via etica acquisita.
Nel caso che sia un ebreo ad essere schiavo di uno straniero residente nella Terra (vers.47-54) la norma è che ogni suo famigliare lo può riscattare e che anche lui si può riscattare se ne raggiunge i mezzi, e il prezzo del riscatto è sempre in riferimento alla norma giubilare alla quale evidentemente deve attenersi anche lo straniero residente.
Il ver.55 conclude il capitolo riaffermando la signorìa del solo Dio sui figli di Israele, che sono suoi, e di cui Egli è il Signore, perchè è Lui che li ha fatti uscire dal paese d’Egitto e ne ha fatto il suo popolo.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il testo di oggi spinge molto a pensare che bisogna uscire dall’ottica di un codice morale, perchè ciò che sostiene questi testi è la relazione con l’evento che è successo. E’ la partecipazione a questo evento che sostiene tutto, e viene ricordato per tre volte: il Signore è il loro Dio, che li ha fatti uscire dall’Egitto.
A partire da questo si possono leggere due cose imbarazzanti nel brano di oggi, che portano queste parole verso la rivelazione del N.T. Dio motiva questo non poter essere schiavi i figli di Israele, con il fatto che sono suoi schiavi (v. 42). ma anche questo non è un dato teorico, ma sono suoi schiavi “perchè li ha fatti uscire dall’Egitto”. Questo “acquisto” è duraturo nel tempo; gli altri acquisti – di un fratello israelita diventato povero, p.es. – non possono essere duraturi.
E l’altro aspetto, che cioè si possano prendere schiavi dai forestieri, irrita (forse) il nostro comune senso morale. Ma anche questa clausola ha riferimento a quell’evento di liberazione di cui i figli di Israele sono stato oggetto.
Non è possibile asservire il fratello, farne il proprio schiavo, anche se si mette nelle nostre mani perchè bisognoso, nè è bene caricarlo di un peso eccessivo (vv. 43 e 46), perchè lui ha già un suo signore, ed è suo schiavo-servo-domestico. “Non è possibile – per lui come per te – servire a due padroni”.
E che si possano prendere schiavi fuori dal popolo è perchè tali genti non sono di nessuno; non sono servi di Dio, nè Dio è – ancora – il loro Dio. Forse qui è segnalata l’attesa e la speranza nei confronti di tutti i popoli, che Gesù, buon pastore, verrà ad esaudire, quando dirà suoi tutti gli uomini e tutte le nazioni: “Ho altre pecore che non sono di questo ovile, anche queste devo condurre”.
Sebbene non si tratti di un codice morale, come suggerisce il commento di Mapanda, piace leggere queste indicazioni relative al “fratello”: “non dominerai su di lui con durezza…, non imporgli un lavoro da schiavo…”; e alla fine: “se ne andrà libero lui e i suoi figli…”: una piena emancipazione personale e familiare. Per gli altri popoli la schiavitù è ammessa, e non vi è qui uno statuto speciale, come spiega don Giovanni. Sappiamo però che, dopo Gesù, non c’è più distinzione tra schiavo e libero, uomo o donna…, siamo tutti battezzati in un solo Spirito, per costituire un solo corpo (Gal 3,28; 1Cor 12,13 dove Paolo lo dice in modo forte ed efficace).