19 E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. 20 Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti». 21 Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».
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COMMENTO
Dopo la parabola del seme e la sua spiegazione data da Gesù, il Signore continua nei vv. di oggi a dirci ancora qualcosa su come Lui stesso, prima di tutti e in modo esemplare, vive l’importanza della Parola, e come suggerisce a noi di riceverla e trasmetterla.
Nei tre versetti di oggi ci propone il modo buono per accogliere il dono di Dio, che nella sua grande misericordia verso di noi, ci consegna ogni giorno: la Sua Parola. Tre vv. per descrivere tre azioni importanti, ma in un ordine capovolto rispetto a quanto ci potrebbe sembrare ovvio: annunciare, comprendere, ascoltare.
Il v. 16 si riferisce a chi annuncia questa Parola. Quel “Nessuno” con cui inizia il nostro brano si riferisce prima di tutto a Gesù: è Lui che pone su un candelabro – cioè nel posto che gli è consono e usuale – la lampada che è la Sua parola, “perché chi entra veda la luce”, e ne abbia illuminata la vita e il cammino. E nello stesso tempo, insieme a Lui e per suo mandato, è anche ogni suo discepolo, chiamato a porre sul candelabro la Parola di Dio che ha ricevuto in dono, e di cui è portatore responsabile. Tutti infatti devono venire illuminati dalla luce: “Voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la Parola di vita” (Fil 2:15-16). Il buon discepolo “terrà salda la Parola di vita” e la porrà sul Candelabro che gli è consono, su Gesù stesso , Signore e Salvatore, cosicchè “chi entra” potrà vedere non tanto l’annunciatore, bensì la luce della Parola del Vangelo (lampada), insieme a Colui che ce la dona, Gesù (candelabro).
Il candelabro che porta la lampada del Vangelo è anche la comunità di Gesù, la Sua Chiesa (e ogni suo discepolo). È lo strumento umile (cfr. 2Cor 4:7) fatto apposta per portare la lampada. La responsabilità dell’annunciatore sta 1. nel non nascondere la lampada, sotto un vaso, col rischio di spegnere per “quelli di fuori” la Parola, (per paura, timidezza, rispetto umano ?) e 2. neppure metterla sotto il letto, il che provocherebbe un pericoloso incendio (entusiasmo eccessivo, desiderio di visibilità mondana ?).
Forse questo atteggiamento, di una “mediocrità fedele” fondata sulla certezza dell’operosità di Dio, è quella “perseveranza” che Gesù, spiegando la parabola del buon seme, ha indicato come portatrice di molto frutto: “il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza”.
Se il v. 16 si riferisce al discepolo in quanto annunciatore, il v. 17: “Non c’ è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce” suggerisce la necessità interiore della Parola di una sua rivelazione piena e “spontanea, automatica”, direbbe Marco(4:28).
Il v. 18 sottolinea ulteriormente, e in modo ancora più impegnativo, la necessità dell’ascolto. Gesù, dopo aver precisato l’importanza e il modo buono di “mostrare, annunciare” (v.16), e di “conoscere” (v.17), conclude il suo insegnamento sulla Parola, mettendo in guardia noi suoi discepoli su “come” ascoltiamo. “L’esortazione a ben udire, che, cosa curiosa, viene dopo l’annuncio, indica che «udire » non è un’attività esteriore, acustica, ma interiore, una adesione del cuore.” È la nostra risposta, umile e grata, al Signore che non si stanca di comunicarci ogni giorno la Sua Parola.
Luca conclude questo cap.8 che ci ha trasmesso molti insegnamenti sulla Parola, con questo cenno ai familiari di Gesù.
Da una parte vengono presentati Maria e i fratelli di lui, che “lo cercano”, sembra con buone intenzioni, diversamente da quanto riportato da Marco (3:20-21; 31-35), ma non riescono ad “avvicinarsi” a lui a causa della folla. Questi rappresentano una familiarità “di sangue”.
D’altra parte, Gesù rivela una nuova familiarità con Lui, che è quella che si crea tra Lui e quanti “ascoltano la Parola di Dio e la fanno”: questi sono suoi fratelli e madre.
I parenti non sono presentati in modo negativo, ma anzi vengono inclusi fra coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica; e proprio la madre di Gesù deve essere considerata come la prima che corrisponde alla definizione del discepolo. Infatti di lei nel vangelo abbiamo letto che “conservava nel suo cuore la Parola” (Lc 2:19, 51).
La parola di Dio vissuta imparenta con Gesù, e ci raccoglie anche come famiglia. Abbiamo qui una nuova definizione di famiglia: farne parte dipende dall’iniziativa divina e dalla disponibilità (“udendo”) e dalla perseveranza (“facendo”) umane. E dunque, il detto di Gesù non solo indica chi sia il vero discepolo, ma insieme definisce la comunità cristiana, vista come famiglia di credenti uniti a Gesù e tra di loro dalla Parola. Così l’evangelista chiude l’insegnamento sul retto modo di ascoltare la parola di Dio (Lc 8,4-21).
Dio vi benedica e voi pregate per noi. Francesco e Giovanni