20 Si misero a spiarlo e mandarono informatori, che si fingessero persone giuste, per coglierlo in fallo nel parlare e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore. 21 Costoro lo interrogarono: «Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni qual è la via di Dio secondo verità. 22 È lecito, o no, che noi paghiamo la tassa a Cesare?». 23 Rendendosi conto della loro malizia, disse: 24 «Mostratemi un denaro: di chi porta l’immagine e l’iscrizione?». Risposero: «Di Cesare». 25 Ed egli disse: «Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio». 26 Così non riuscirono a coglierlo in fallo nelle sue parole di fronte al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.
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Diversamente dai testi paralleli di Matteo e Marco, qui il ver.20 sembra suggerire che si tratti di un vero tentativo di “tradimento” per consegnare Gesù alla giustizia romana e al suo potere.
Questi “informatori” (di chi?), che si fingono “persone giuste, sembrano dunque attori di una “congiura” nei confronti del Signore.
In tal senso la sua risposta assume, mi sembra, un significato particolarmente sottile e profondo!
E lascia l’esecuzione del provvedimento alla responsabilità di ciascuno!
Le note delle bibbie dicono che questa “tassa a Cesare” era considerata ingiusta e umiliante da parte della popolazione ebraica, e addirittura proibita dagli “zeloti”, cioè dagli oppositori armati contro il dominio romano.
Gesù si rende perfettamente conto della malizia degli interroganti e della domanda stessa.
Egli allora – almeno così mi sembra! – restituisce una risposta delicata e profonda che di fatto esige da ciascuno una risposta secondo coscienza!
Non tanto, mi sembra, una semplice “regola generale”, quale forse era il senso della domanda, quanto un appello e un giudizio della coscienza di ciascuno!
Ponendo l’effige di Cesare sulla moneta come elemento indicativo per esprimere un giudizio, Gesù amplia la risposta alla coscienza e alla verità di ciascuno!
Resta dunque aperta anche oggi a ciascuno di noi la verità di una risposta.
Anche noi, infatti, oggi ci troviamo davanti alla responsabilità di una risposta all’interrogativo: che cosa è di Cesare e che cosa è di Dio?
E che cosa significa ed implica quel verbo che Gesù usa, diversamente da quel “pagare” detto da chi lo interrogava (ver.22)?
Qui Gesù indica una “restituzione” – “rendete a Cesare …e quello che è di Dio a Dio” (ver.25).
Mi sembra si debba pensare quindi non solo e non tanto ad una risposta vera e valida per tutti, ma anche ad un appello e ad un riferimento preciso alla coscienza di ciascuno.
E oso dire: alla coscienza cristiana!
Ma anche qui senza pretendere che ci sia un’unica “coscienza cristiana”.
Nell’esperienza profonda di ciascuno di noi sta la consapevolezza e la concreta esperienza di un giudizio della coscienza in continuo cammino, relativamente al cammino che compiamo nel Signore, dietro al Signore, e nella sua Parola, e alla luce dello Spirito!
Spero di non confondervi troppo con questi poveri pensieri nati dalla mia povera preghiera.
Infine oso dire che a me sembra bene restituire a Cesare quello che è scopertamente “mondano”, cioè “del mondo”, ma a Dio tutto quello che nel mondo o fuori dal mondo ha un riferimento profondo verso Dio. Parecchio, dunque!
Ma come sempre non fidatevi di me!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.