57 Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58 E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59 A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60 Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61 Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62 Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».
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Mi chiedo se queste linee radicali e severe siano non solo esigenze morali, ma rivelino piuttosto la novità e la particolarità dell’esperienza cristiana rispetto ad altre sapienze e ad altre interpretazioni della vita.
La prima affermazione di Gesù, ai vers.57-58, di risposta a chi si offriva di farsi suo discepolo, sembra voler dire un cammino senza sosta e senza fine. Il Vangelo di Gesù non si può fissare in una dottrina e in un fermo codice etico, perchè cammina incessantemente nella storia, ed esige un ascolto e un’obbedienza senza fine da parte del singolo come da parte della comunità credente. Il discepolo del Figlio dell’uomo non ha la possibilità di rifugiarsi in una formula fissa e definitiva, perché lo Spirito lo muove incessantemente dentro alla perenne novità del Vangelo che visita la storia.
I vers.59-60 esigono che anche la morte e la sepoltura di un padre siano per suo figlio che è stato chiamato alla sequela del Signore, colte e vissute come eventi e segni del regno di Dio, e non siano realtà diverse da nessun fatto della vita, anche quello che si presenta come di supremo rilievo. Ricordo con commozione che mio papà mi diceva sorridendo che al suo funerale avrei chiesto alla gente presente di partecipare lietamente a quel giorno di festa. E così ho tentato di fare quando questo è avvenuto.
Per questo motivo, mi sembra dicano i vers.61-62, per il discepolo non c’è più un “prima” rispetto al “regno di Dio”. Ogni pensiero, o dovere o opportunità viene vissuto non come preliminare, ma come obbedienza e attuazione della volontà del Signore.
Chiedo scusa per la banalità e la confusione. Spero che possiamo in ogni modo cogliere e accogliere la divina bellezza di questa Parola come illuminante la nostra felice condizione di persone piccole e povere, e chiamate dalla potenza e dalla sapienza del Vangelo di Gesù.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Inserisco il commento a questo passo che Dietrich Bonhoeffer ha fatto in “Sequela”:
Il primo discepolo si offre lui stesso a seguire Gesù, non è chiamato; la risposta di Gesù avverte l’entusiasta che non sa quello che fa. Non può saperlo. Ecco il senso della risposta, nella quale viene mostrata al discepolo come si prospetta, in realtà, la vita con Gesù. Parla colui che va incontro alla croce, la cui intera vita, nel credo apostolico, viene espressa con la sola parola ‘patì’. Nessun uomo può scegliere volontariamente una simile vita. Nessuno può chiamarsi da se stesso, così dice Gesù, e la sua parola resta senza risposta. L’abisso fra l’offerta spontanea di seguirlo e la reale via al suo seguito resta aperto. Ma quando Gesù stesso chiama, egli supera anche questo abisso.
Il secondo vuole seppellire suo padre prima di seguire. La legge lo vincola. Egli sa ciò che vuole e ciò che deve fare. Prima deve adempiere alla legge, poi vuole seguire Gesù. Un chiaro comandamento della legge si frappone qui fra il chiamato e Gesù. La chiamata di Gesù si oppone rigorosamente a che in nessun caso si permetta che qualcosa si ponga fra Gesù e il chiamato, fosse anche la cosa più grande e sacra, fosse anche la legge. È assolutamente necessario, per amore di Gesù che proprio ora la legge che voleva frapporsi venga trasgredita: tra Gesù e il chiamato essa non ha più alcun diritto. Perciò Gesù si oppone alla legge e ordina di seguirlo. Così parla solo il Cristo. Egli ha l’ultima parola. L’altro non può resistere. Questa chiamata, questa grazia è irresistibile.
Il terzo intende l’impegno a seguire nello stesso modo del primo, cioè come un’offerta che parte da lui solo, come programma di vita proprio, scelto da lui stesso. Ma, a differenza del primo, si sente in diritto di porre, da parte sua, delle condizioni. E così si ingarbuglia in completa contraddizione. Si vuole mettere dalla parte di Gesù, ma allo stesso tempo pone qualcosa fra sé e Gesù: «permettimi prima». Vuole seguire, ma vuole lui stesso creare le condizioni del suo impegno. Seguire costituisce per lui una possibilità, la cui realizzazione dipende dall’adempiersi di determinate condizioni e di determinati presupposti. Così l’atto di seguire diviene un atto umanamente comprensibile e avveduto. Prima si fa una cosa, poi l’altra. Tutto a tempo debito. Il discepolo stesso si mette a disposizione, ma acquista così anche il diritto di porre delle condizioni. È evidente che da questo momento l’impegno a seguire non è più veramente tale. Diviene un programma umano, che io seguo secondo il mio giudizio, che io posso giustificare in maniera razionale e morale. Questo terzo, dunque, vuole seguire, ma nell’attimo stesso in cui lo dice, non vuole più farlo. Nella sua stessa offerta annulla già l’impegno di seguire; infatti la volontà di seguire non ammette condizioni che si frappongano fra Gesù e l’obbedienza. Questo terzo, dunque, è in contraddizione non solo con Gesù, ma anche con se stesso. Non vuole ciò che vuole Gesù, ma non vuole nemmeno ciò che vuole lui stesso. Egli giudica se stesso, è in contrasto con se stesso, e solo perché dice: «permettimi prima». La risposta di Gesù conferma con una similitudine la sua contraddizione con se stesso che gli impedisce di seguire: «Nessuno che pone mano all’aratro e guarda indietro è atto al regno di Dio».