18 Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?». 19 Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20 Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». 21 Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.
22 «Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».
Questo episodio, comunemente chiamato la “confessione” di Pietro, viene in Luca
introdotto con la descrizione di Gesù in preghiera (come anche nel battesimo al
c. 3), con la precisazione che si tratta di una preghiera “in solitudine”. In
questo frangente è molto bella l’espressione evangelica “i discepoli erano con
lui”: ancora una volta è messa in evidenza, anche nel momento di maggiore
solitudine di Gesù e di sua unione con il Padre, la comunione con i suoi. Gesù
non è mai da solo, ma rende partecipi i discepoli della sua unione con Dio. La
nostra vita è comunione con lui, con il Padre e tra noi.
La domanda che Gesù rivolge ai discepoli “Chi sono io secondo la gente?”
ripropone il tema della fede. La risposta dei discepoli è triplice e in tutti e
tre i casi mette in risalto la risurrezione; non si potrebbe parlare infatti di
Giovanni Battista se non fosse risorto ed Elia è l’unico dei profeti di cui si
dice che fu assunto in cielo in un carro di fuoco; infine si dice che Gesù è
uno degli antichi profeti che è risorto. Inoltre, Gesù impone ai discepoli di
non dire a nessuno che egli è il Cristo, come aveva imposto il silenzio sulla
risurrezione della figlia di Giairo: la notizia della passione e risurrezione è
così grande e delicata, che deve essere custodita nel silenzio del cuore.
La risposta di Pietro “Il Cristo di Dio”, cioè il consacrato con l’unzione, il
Messia, riprende le prime parole di Gesù, nella sinagoga di Nazaret (c. 4), con
le quali egli si era presentato come colui che lo Spirito di Dio ha consacrato
per portare la buona notizia ai poveri: oggi egli rivela che questa buona
notizia è la sua passione e risurrezione, senso e speranza del cammino di ogni
uomo.
“Il Cristo di Dio”, pur nella professione di fede di Pietro, indica il messia atteso da Israele, con aspettative di potenza, di trionfo… Gesù, invece, annuncia un messia che deve soffrire molto, che sarà riprovato dalle autorità religiose, dalle persone “competenti” in materia, addirittura sarà messo a morte. Doveva essere una presentazione sconvolgente per i discepoli: soprattutto quella conclusione nella morte. Per gli ebrei, il messia non poteva muorire; la eventuale morte era considerata una prova che non si trattava del vero messia. Come sono lontani i progetti di Dio e programmi degli uomini! … L’ultima parola, però, è quella della vita e della risurrezione, speranza e pegno anche per noi, oggi.