46 Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico? 47 Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48 è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sopra la roccia. Venuta la piena, il fiume irruppe contro quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. 49 Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la rovina di quella casa fu grande».
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Il ver. 46 raccoglie in poche parole quello che nel parallelo di Matteo 7,21-23 è più esteso e sviluppato. Mi sembra che il significato di queste parole di Gesù sia quello di escludere una relazione con Lui puramente devota, e quindi allontanare il pericolo di una separazione tra la preghiera e il volto concreto dell’esistenza. Per un ebreo e un cristiano la relazione con Dio avvolge e penetra tutta l’esistenza. Ha la sua fonte nell’ascolto di fede della Parola e viene accolta in una vita nuova, incessantemente impegnata in dinamiche di conversione e di celebrazione della Parola nel tessuto dell’esistenza.
Il discorso del Signore è al suo termine, come sta terminando questo meraviglioso cap. 6. La conclusione è una grande esaltazione della prassi, secondo tutta la tradizione della fede dei padri ebrei. Nella lingua greca delle ascoltare e obbedire si sovrappongono. L’ascolto della Parola esige che tale Parola sia obbedita e quindi “fatta”, sia a livello personale sia a livello comunitario.
Questo produce lo straordinario “capovolgimento” che si osserva in questi ultimi versetti. Istintivamente si potrebbe pensare che nell’immagine della casa costruita sulla roccia – oppure sulla terra – la roccia sia la parola di Dio ascoltata. Invece, costruisce sulla roccia chi, avendo ascoltato la Parola, la “fa”. Questa espressione poco elegante mi sembra più efficace e forte di quella adottata dal traduttore italiano che dice “mettere in pratica”. La Parola ascoltata esige di essere fatta, possiamo dire “celebrata”. Risuona nella nostra mente il cuore della Liturgia, e la Parola di Gesù “fate questo…”.
In questo è assoluta la fedeltà di Gesù alla grande tradizione dei padri ebrei, che sempre hanno ricevuto da Dio l’indicazione secondo la quale “il fare” la Parola precede lo stesso comprenderla! Anche la nostra piccola esperienza ce ne dà prova. La nostra celebrazione della Messa, grazie a Dio, non è mai ripetitiva, ma sempre nuova, perché è sempre accompagnata e sorretta dalla “crescita” che la Parola ha in noi per la grazia della celebrazione stessa. “Fare la Parola” vuol dire, secondo la bella immagine che oggi il Signore ci dona, l’azione di quell’uomo che per costruire la casa, “ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sopra la roccia”. Come nel primo versetto veniva contestata l’ipotesi di una devozione svuotata di ogni relazione con la vita concreta, così viene scartata l’ipotesi di un rapporto “intellettualistico” con la parola di Dio. Mi sembra che sia proprio dell’umile e del povero portare nel gesto piccolo e quotidiano dell’esistenza il dono e la luce della parola ascoltata. Tra l’altro, è proprio la prassi che in certo modo la semplifica e la consegna alle possibilità concrete di ciascuno.
La casa è il simbolo della vita. Costruire la casa, quindi, significa costruire la propria esistenza, organizzarla, orientarla… su quella roccia. E l’impegno di questa “lectio” quotidiana non è forse anch’essa un mattone di questa costruzione? Anzi, si può pensare che sia una delle pietre angolari! E forse, l’accogliere ogni giorno la Parola di Dio è non solo un ascoltare, ma già un piccolo “fare la Parola”, un fare che poi vorremmo continuasse nel concreto di tutti i giorni.